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La vita mi ha portato a vivere in molte città italiane. Paradossalmente, quella in cui mi sono sentito uno juventino tranquillo, quasi tiepido, è stata Torino e non perché coincise con stagioni mediocri o fallimentari, targate pere esempio Maifredi. Vi ricordate Maifredi? Quello del calcio Champagne, ribattezzato dopo poco “Calcio Prosecco”? Una specie di Zeman dei poveri, che predicava attacco, velocità, aggressività col risultato di prenderne in media 3 a partita. La paciosità juventina a Torino, forse era causata dal fatto che il mio tifo era nato in Toscana, trasferito a Milano, rimbalzato a Roma. In luoghi in cui non ero abituato a sentirmi a casa mia. La Juve è una squadra che sembra fatta apposta per gli apolidi, per i senza patria, per i nomadi. Per coloro che come residenza hanno la Terra, non un campanile o una strada. E’ una stella, che guardi sotto ogni cielo; un vessillo, che ti porti dentro, piegato in te e più lontano vai più lo guardi, più interiormente lo accarezzi.

 

La Juve è una specie di patria intima e portatile, che brilla più forte quanto più sei lontano da Torino. Perciò: che goduria essere uno juventino a Roma! Poter coltivare talvolta un segreto, per esempio in un bar del Testaccio quando Bonucci segna al volo il terzo goal contro la Roma. E poter gridare la propria gioia sul GRA (Grande Raccordo Anulare) in auto insieme al figlio, brandendo il vessillo bianconero il giorno dello scudetto strappato all’ Inter, che perdeva all’Olimpico con la Lazio. Ma si possono anche soffrire le pene dell’ inferno come quando sul tuo computer cliccavi l’allegato di un collega d’ufficio (oggetto: pratica 23/28) e appariva Buffon a strisce bianconere orizzontali dietro le sbarre. E mentre aprivi queste mail dall’inferno la porta dell’ ufficio si spalancava all’ improvviso con 4, 5 facce ridenti che intonavano: “Grazie Juve, che ci fai vivere e sentire ancora una persona nuova…”.

 

Per la Juve, a Roma, passo anche guai in famiglia. O meglio con i parenti stretti, perché il figlio è bianconero militante, la figlia lo è distrattamente per affetto e la moglie tifa generalmente per i giocatori, non collegandoli alle maglie: per Cabrini prima, poi per Batistuta. Ora per Totti, ma se ne ricorda solo quando segna o se lo vede in qualche spot pubblicitario. I guai cominciano con i nipoti e con la cognata, che, per altro, se ne intendono di calcio. Sono stratifosi della Roma, ma soprattutto antijuventini. Quando eravamo in B, si capiva che a loro mancava qualcosa, perché sfottere, alla fine, è uno sfogo da ragazzi, mentre l’odio, quello “corretto” che si può manifestare liberamente apparentemente ti fortifica e non ti fa mai sentire solo. Con la Juve in B, i tifosi romanisti e i miei nipoti si sentivano più soli. Il Milan, l’Inter, il Napoli non bastavano insieme a coagulare tanta energia come contro i bianconeri, sempre rei d’un peccato, d’una colpa, d’un’infamia. Senza il male, anche il bene non è una gran conquista. Ma oggi, anzi da 5 anni, vedere un Roma-Juve o anche semplicemente un Napoli-Roma con i miei nipoti, che posseggono un megaschermo gigante, woofer, pluridiffusori acustici sintonizzati su telecronaca in romanesco, diventa impossibile. Non tanto perché la Roma con la Juventus perde quasi sempre e non si rassegna quasi mai (con Garcia era un delirio persecutorio), quanto perché la sola presenza di uno juventino è provocatoria: se esulta, deride; se soffre, è un vile. Ma, soprattutto, se tace, gufa. Insomma non può esistere. Io fra di loro, uno con la maglietta giallorossa, l’altro con un giubbotto nero dai bordi vermigli, mentre Iturbe (l’unica volta che fece una partita decente) insacca il 2 a 1 a Torino non posso esserci; figuriamoci quando Pogba viene steso sulla linea dell’area di rigore con le conseguenze del caso. Non posso esserci nemmeno se il Napoli contro la Maggggica passa in vantaggio perché “porto sculo”, “perché gufo”, “perché non dico niente e sono un’ipocrita”…Non vale nulla sussurrare che così da + 11 andiamo a + 14 e siamo a 6 giornate dalla fine. Non vale nulla, non serve, siamo infami. La Roma perde con l’Atalanta “perché Strootman era stato squalificato la partita prima apposta per non farlo giocare e quindi ora se la Juve vince ecc.”

 

Felice o infelice, silente o parlante, dovrei sparire di colpo. Svanire. E invece no. Dovrei, amleticamente, esserci e non esserci. O meglio esserci per essere distrutto e poi risorgere per essere fatto fuori di nuovo. Senza il male, si vive male. Per questo a Roma (e non solo) la Juve è necessaria.