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Ogni tanto penso, anche nei momenti più bui: “Una bella fortuna essere gobbo!”. Non banalmente, quando si vince, ma anche quando si perde. Vi ricordate i primi due mesi dello scorso campionato? Una squadra, che l’anno prima aveva dominato il campionato ed era arrivata in finale di Champions, aveva inanellato una serie di sconfitte e di pareggi a ripetizione. Dopo un pessimo Roma-Juve 2 a 1, il massimo dello sconforto fu il pareggio interno col Frosinone, quando venne raggiunta, al penultimo secondo dell’ ultimo minuto, da un goal dello juventino (tifoso) Blanchard. La sconfitta col Sassuolo, mi portò sull’orlo del baratro. Non ero infuriato, depresso, sconvolto: semplicemente disorientato. Sull’orlo dell’ abisso, non sapevo che direzione prendere: chiedere la testa di Allegri? Urlare di rabbia? Agire o sprofondare nel sonno, come nel dilaniante dilemma amletico? Poi, pensai, in preda ai sentimenti del tifoso frustrato e privo di riconoscenza, ora qualcuno (la dirigenza, il Presidente…) si vendicherà per me.

 

Così aspettai la conferenza in diretta di Andrea Agnelli. Dopo aver fatto una disamina della buona situazione economica, ringraziato la squadra per la splendida annata trascorsa, segnalando che eravamo ancora agli inizi del campionato, il Presidente si schiarì la voce e disse, più o meno, così: “Non abbiamo iniziato bene, chiedo scusa ai tifosi: la Juve non merita il quattordicesimo posto”. Ghigliottine, defenestrazioni, irrisioni? “Quando mai” si direbbe a Roma. Nemmeno rimproveri, perché la squadra era “rinnovata, Allegri non si discuteva : forse si trattava di un semplice rodaggio e nulla più”. Da lì in poi fu un’inarrestabile rincorsa di vittorie, che portò al sorpasso e alla netta affermazione finale. La vera forza di questa società, capii ancora una volta, sta lì: nei momenti di difficoltà è salda, compatta; non trova scuse, non dà la colpa agli arbitri, “ar sistema” e soprattutto non innesca un isterico gioco al massacro interno.

 

Prendete quello che è successo al Napoli, ma aggiungeteci, non dico Massimino o Zamparini, anche il Berlusconi del grande Milan e fate la differenza con la Juve. De Laurentiis giovedì ha sconfessato il proprio allenatore, Sarri, e la squadra perché il Napoli ha perso col Real Madrid. Dei suoi calciatori ha pubblicamente detto: “Hanno dimostrato poca personalità e la difesa era troppo alta. L’organico, inoltre, non viene sfruttato al meglio.” Poi è volato a Los Angeles. Il Presidente aveva caricato la partita col Real di troppe aspettative, piegandola ad un potente volano di pubbliche relazioni. 250 ospiti al seguito, da Paolo Sorrentino a Veltroni fino a Silvio Orlando e all’ immancabile Maradona (a proposito: è l’ uomo “immagine” del Napoli?) pensando forse di assistere ad un trionfo dei suoi. Mai calcolo fu più provinciale, esattamente come la reazione post partita che appesantisce notevolmente il clima, la psicologia e l’autostima della squadra.

 

A Roma, gli allenatori che perdono suonano il violino all’arbitro, i giocatori dicono che fino a che giocherà la Juve loro ( i giallorossi) arriveranno secondi; a Napoli un Presidente scredita, in un colpo solo, la squadra che fino ad oggi gioca il calcio più brillante d’Italia, ha passato il primo turno di Champions ed è in corsa per il campionato. Non solo, parla di soldi, insegna la tattica a Sarri, uno che ha fatto risorgere un Napoli balbettante e gli intima di far giocare i nuovi acquisti. Ci ricorda il peggior Berlusconi: quello che dava del comunista a Zaccheroni , che si vantò di aver vinto da solo lo scudetto del’99, che redarguì Zoff perché aveva sbagliato (sic!) la marcatura di Zidane.

 

Che fortuna non aver mai avuto presidenti così, pronti a sgomitare e a mettersi in posa quando si vince, a scendere dal carro e accusare gli altri, appena si perde.