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Negare a Michel Platini il merito di essere riuscito ad attuare, seppure soltanto in parte, l‘opera di una salutare modernizzazione del Palazzo calcistico internazionale sarebbe come togliere a Robespierre e Danton il ruolo che ebbero come ispiratori e padrini della prima e unica autentica Rivoluzione della Storia. Borghesi al servizio del popolo. Ma borghesi illuminati

Anche negli intenti de Le Roi lo scopo principale delle sue battaglie è stato quello di restituire il calcio alla gente. Impresa titanica sopra un terreno scivoloso e pieno di trappole perché il Potere radicato, ovunque esso alberghi, non è mai disposto ad accettare variazioni sul tema. Il fatto che oggi l’uomo il quale avrebbe potuto e anche dovuto rappresentare il gioco del pallone a livello planetario si trovi fermo ai box in attesa di riabilitazione è la dimostrazione lampante di questo teorema alle cui regole nessuno al mondo è mai riuscito a sottrarsi. Neppure coloro che, avendo un rapporto privilegiato con il Padreterno, dovrebbero essere immuni dalla rottamazione come nel caso di Papa Luciani.

Oggi Platini compie sessantadue anni. Un’età giusta per stare sulle cima del mondo senza problemi se si considera che Donald Trump ne ha settantuno ed è a capo del Paese più potente del pianeta. Le Roi, invece, è fuorigioco almeno per il momento e per due altri anni ancora. Si batte con carte bollate e ricorsi in tribunale, ma inutilmente. Una festa, la sua, in agrodolce che trascorrerà nella “sua” Cassis cenando in un vecchio ristorantino delle “Sable blanche” insieme ai pochi ma fedeli amici di sempre. 

È appena rientrato dall’Italia dove, partendo da Torino, ha voluto visitare le zone dove sopravvivono i superstiti del terremoti e degli alberghi venuti giù con la montagna. In assoluto anonimato, conta i passi un poco appesantito nel fisico, con un appello a larghe tese in testa e con gli occhiali scuri. Non vuole essere riconosciuto. Non perché provi vergogna, ma per non dover essere costretti a rispondere con banalità a domande banali. In effetti, se Platini possiede una qualità di eccellenza questa è sempre stata la sua “non banalità”. Non a caso l’avvocato Gianni Agnelli, persona assai complicata nei rapporti interpersonali, lo aveva eletto come interlocutore prediletto.

Ho la certezza di essergli stato discreto amico in tempi non sospetti. Da quando giocava con la maglia della Juventus sino a quel pomeriggio di pioggia quando, dopo la vittoria sul Brescia, il campione annunciò che avrebbe riposto le sue cose nell’armadietto per non indossarle mai più. Senza tanti effetti speciali o giri di campo. Come aveva fatto a suo tempi Giampiero Boniperti. Lo seguii, seppure con frequenza minore, anche dopo. Quando tentava di capire che cosa fare da grande e quando realizzò che non avrebbe mai potuto costruirsi il futuro intorno ad una panchina da allenatore. La svolta, un caldissimo mese di luglio, nel suo ufficio in Place de l’Opera a Parigi. Mi disse: “Vedi Marco, alla mia età esistono soltanto due strade. O fare il “grillo parlante” intellettualmente chic oppure entrare in politica”. Scelse la seconda via, senza troppa esitazione. Ci perdemmo di vista.

Aveva indubbiamente scelto la soluzione più coraggiosa ma anche la più difficile da gestire. Razzolare nella palta del Potere vuole dire necessariamente sporcarsi. E addirittura presumere di poter scalzare un monumento all’intrigo e al malaffare come Blatter significava andarsi a cercare guai molto seri. Cosa puntualmente accaduta. Platini non era e non è certamente un santo. E se è comprensibile che abbia aiutato suo figlio a farsi largo nel Palazzo come ciascun padre avrebbe fatto è molto meno accettabile che abbia partecipato al valzer dei “voti di scambio” e di ricche mazzette assortite. Inevitabile la caduta verticale.

Ciò non toglie che Platini si è rivelato una persona e un personaggio capace di dare un senso di novità positiva al monolitico e intoccabile totem del calcio. Ha aperto le porte del “movimento” ai Paesi del Terzo Mondo e a quelli emergenti anche per facilitare lo scopo culturale del pallone nei confronti di giovani e di giovanissimi. Ha tentato di arginare la tracimazione della piena che stava riducendo il gioco a un puro affare economico e finanziario con l’introduzione del fair play. Ha fatto in modo che gli stadi tornassero, per quel che era possibile, a diventare la casa della gente e non soltanto degli sponsor e delle televisioni. Ha sempre destinato denaro in opere di beneficienza autentica e non pelosa. Soprattutto a lui si deve quella importante campagna contro il razzismo e contro l’intolleranza di ogni specie che ancora oggi funziona sotto lo slogan del “Respect”. Lo stesso rispetto dovuto anche a Michel Platini, nel giorno del suo compleanno.