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Piccola pausa azzurra. Di quelle indispensabili per tirare il fiato e, soprattutto, per riflettere. Credo passerà un bel po’ di tempo prima che decida di tornare in uno stadio. Ho voluto farlo domenica, al Ferraris di Genova, perché immaginavo di poter assistere ad una bella patita, complici Sampdoria e Juventus. Spettacolo zero, dopo venti minuti, e certamente non per responsabilità dei blucerchiati. Ma non è per la noia imbarazzante che sono uscito dallo stadio con dentro un senso di profonda malinconia. Avevo progettato di fermarmi a Genova, per una notte, e andare a cenare nell’osteria della Lanterna dove i coraggiosi ragazzi di don Gallo portano avanti una delle attività benefiche inventate dal loro maestro di vita cucinando pesce fresco nel locale che è un’autentica galleria d’arte con le foto di Fabrizio De Andrè. Ho lasciato perdere. Troppo depresso ho raggiunto, a piedi, la stazione di Brignole e mi sono infilato sul primo treno diretto a casa. Due ore di viaggio durante le quali mi sono mentalmente rivisto il film della giornata.

La tribuna stampa. Zeppa di anime sconosciute e ipnotizzate senza dialogo dai computers. Marina Salvetti, Antonio Barillà, Matteo Dalla Vite, Piero Sessarego gli unici quattro ex compagni di avventure per il mondo. Abbracci un po’ commossi. Sotto, in tribuna d’onore, Fabio Fazio con il figlio, Beppe Marotta insieme con Pavel Nedved, Enrico Mantovani. Una stretta di mano sincera nel segno del come eravamo. Ancora più in là, in campo, i campioni bianconeri che sembravano voler far di tutto per non mostrarsi tali svolgendo un compitino appena accettabile. Sulle gradinate il popolo doriano. Lui sì uguale a sempre e ben disposto a fare il tifo e a incitare i suoi ragazzi fino all’ultimo senza un attimo di respiro. Un pianeta praticamente ignoto e deludente del quale avevo già avuto vago sentire pranzando, prima della partita, nel ristorante di Edilio amico che ora non c’è più. Per una vita il punto di riferimento del grande presidente Paolo in riunioni amicali e gastronomiche alle quali Vialli e Mancini non mancavano mai. E’ diventato uno “fast food” senza anima e di qualità appena accettabile.

Ecco perché doversi confrontare con la realtà del tempo che passa, con le situazioni e gli uomini che sono cambiati anche dentro in modo radicale al di là della normale nostalgia provoca una profonda malinconia. E allora, per sentirsi meno frusti e inadeguati alla gelida società telematica che mortifica le emozioni, ci si aggrappa a quel poco che rimane di un passato decisamente più umano rispetto all’indifferenza dilagante. Accompagnato da “taratatan” del treno, ringraziavo i colleghi Tadorni, Barbieri e Raffino responsabili della redazione torinese di ”Top Planet” i quali insieme con Chirico continano a fare un (credo) bel regalo ai loro telespettatori riproponendo quotidianamente le puntate di un vecchio “serial”, durato quattro anni, che inventammo e realizzammo Darwin Pastorin ed io per l’emittente Videogruppo. Si intitolava “Tutti casa, stadio e…” con il sottotitolo “Quando i campioni scendono dal pallone”. In breve. Quaranta minuti insieme con un personaggio del calcio che si lasciava “mettere a nudo” in situazioni per lui inconsuete parlando il meno possibile di calcio e moltissimo di se stesso e del mondo. Alcuni esempi. Franco Causio sulla pista del Circo Orfei. Marco Tardelli in una gabbia dello zoo di Torino. Antonio Cabrini in discoteca con Giorgio Florio. Stefano Tacconi sul palco del Teatro Alfieri. Paolo Rossi alla mostra del maestro Calder. Gaetano e Mariella Scirea in cima alla Mole Antonelliana. Dino Zoff in una bocciofila di periferia. Claudio Gentile al concerto dei Rolling Stones. Leo Junior in famiglia. Eraldo Pecci al Luna Park. Aldo Serena in barca sul Po. Eppoi, via via, tutta una serie di campioni che per quaranta minuti tornavano a essere semplici persone impegnate a discutere di politica, di guerra, di società, di cultura e di vita vera. Nessuno di loro ha mai chiesto una lira come compenso. Un caffè o un aperitivo a fine lavoro che durava mezza giornata. Dopo qualche anno, altri ci vennero a poppa. Io e Darwin la chiudemmo lì.

Non rivedo quelle puntate riproposte oggi da “Top Planet”. Volutamente. Il me stesso di allora, fisicamente almeno, era troppo diverso. Sarebbe imbarazzante come, forse, per Giancarlo Giannini riosservarsi nei panni teatrali di un giovanissimo Romeo. Però sono altrimenti convinto sull’utilità di questa operazione la quale non vuole essere un semplice amarcord televisivo ma una “lezione” di storia utile a tutti i giovani che amano il calcio e che dai loro campioni di oggi, sfuggevoli e asettici, avrebbero il diritto di ricevere in cambio altrettanto rispetto. Quello riservato alla gente da quegli uomini veri che, ogni tanto, accettavano di scendere dal pallone e di confondersi tra la gente.