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Approdato alla Juventus dopo un’esperienza ventennale nell’AC Siena, il dottor Andrea Causarano ha ricoperto il ruolo di medico sociale della prima squadra per due stagioni. Dal 2014 al 2016, il biennio del “doppio Double” bianconero (scudetto e Coppa Italia conquistati per due anni consecutivi, più la Supercoppa italiana del 2015) ha visto anche nella sua competenza un elemento fondamentale per giungere al trionfo. Oggi - dopo l’addio alla Signora della scorsa estate - Causarano è tornato nella sua Siena, dove continua a lavorare come Direttore Sanitario del Centro medico Performance. IlBiancoNero.com lo ha intervistato in esclusiva, esplorando insieme a lui i retroscena di queste ultime, fantastiche, stagioni.

 

Partiamo dall’inizio: dopo venti anni nella Robur, nell’estate 2014 riceve la chiamata della Juve. In che circostanze è arrivata quella proposta?
 

La possibilità di andare a Torino si è materializzata precisamente nel giugno 2014. C’è stata una prima chiamata informale a maggio, alla fine del campionato: durante la programmazione per l’anno successivo, tra i vari summit dirigenziali, uno riguarda proprio lo staff medico. Il dottor Stesina avrebbe lasciato l’incarico e quindi si liberava un posto. Ero facilitato dal fatto che il mio collega e amico dottor Tencone mi conosceva da tempo per vari rapporti avuti con il Siena. Tra l’altro conoscevo bene anche l’altro collega, dottor Stefanini e il direttore Marotta, incrociato molte volte sul campo nelle partite contro la Juve, ma anche contro la Sampdoria. E poi avrei ritrovato anche Conte, allenatore con cui avevo già lavorato due anni.
 

Poi, una volta arrivato a Torino, ha vissuto subito la notizia shock delle dimissioni di Conte.
 

Sì, io ho una sola foto con Conte alla Juventus. Una volta arrivato Allegri ho iniziato a lavorare, con diverse difficoltà perché mi sono trovato in uno staff composto da tante persone che non conoscevo. L’inizio non è stato dei più semplici, anche perché venendo da una realtà indubbiamente provinciale, non è facile confrontarsi con un’azienda così grande. La differenza sostanziale sta nella grande azienda che hai alle spalle, che ti tiene in allerta 24 ore su 24. Diciamo che l’adattamento è durato circa cinque-sei mesi. Ho avuto due veri e propri tutor di prestigio quali Fabio Paratici e Matteo Fabris.
 

E il suo rapporto con Allegri?
 

Ho avuto la fortuna di avere fin da subito un ottimo rapporto con il nuovo allenatore. Ma non solo, anche con i tanti toscani presenti all’interno del gruppo: Buffon, Barzagli, Chiellini, Bonucci - che è toscanizzato perché ha sposato una ragazza di Abbadia San Salvatore - il vice Landucci, Rugani e il mio grande fidato massaggiatore Randelli. Con Allegri ho sempre avuto un rapporto franco, sincero, che continua anche adesso. Anche lui ha avuto all’inizio, per certi versi, le mie stesse difficoltà.
 

Si riferisce alle critiche ricevute da parte di alcuni tifosi al suo arrivo a Torino?
 

Mi ricordo sempre della contestazione che ricevemmo di fronte a Vinovo, ero arrivato appena da quattro giorni. All’ingresso del pullman c’è stata una piccola “sassaiola” dei tifosi che non volevano Allegri: prima dei successi, in quell’annata, c’è stato anche questo. Poi fortunatamente sono arrivati i risultati. Ma ricordo che alla prima amichevole perdemmo contro una squadra di dilettanti. Poteva essere un segnale terrificante, e invece… (ride, ndr).
 

Della finale di Berlino cosa si ricorda?
 

Spesso si sottolinea il fatto che la Juve, quella finale, l’abbia persa. Ma fu una partita aperta fino all’89esimo minuto. E poi dalla panchina avevamo la sensazione che il Barcellona sull’1-1 fosse estremamente in difficoltà dal punto di vista psicologico. Il calcio però è fatto di episodi, ci poteva stare un rigore su Pogba, un passaggio più preciso di Tevez… Pensiamo alla semifinale contro il Real Madrid, la gioia più grande di quella stagione per quanto mi riguarda. All’andata la deviazione di Sturaro sul colpo di testa di James fu decisiva. E poi in quell’anno a un certo punto non era neppure scontato il passaggio della fase a gironi, perché uscimmo sconfitti in casa dell’Olympiakos e a Madrid contro l’Atletico.
 

Quanto c’è della vostra professione in questi due anni di successi storici?
 

Il medico è una figura importante in un club di calcio, ma non lo è mai quanto lo può essere il mister, lo staff tecnico e i calciatori. Spesso la categoria dei medici è sul banco degli imputati, perché tradizionalmente si pensa che non possa commettere errori. Lo sbaglio viene spesso enfatizzato a livello di stampa, ma rimane un evento possibile, così come lo è per i calciatori e l’allenatore. Ma fa parte del gioco: e se mi chiedete che incidenza ho avuto nei successi della Juve… mi viene da ridere. Grandi campioni, grandi tecnici, grandi dirigenti: loro i veri artefici.
 

Quali sono gli aspetti determinanti per riuscire a mantenersi in corsa per tutti gli obiettivi?
 

Conta soprattutto il dosaggio delle energie e la gestione degli infortuni. Il momento in cui arrivi a giocarti le partite che contano, lo devi affrontare con la rosa più ampia possibile.
 

Del problema infortuni si è parlato molto anche in quel biennio.
 

La prima stagione fu nella media. A parte Morata, l’acquisto più importante di quella campagna estiva, che si infortunò due giorni dopo il suo arrivo. Poi ci fu l’infortunio di Pogba a Dortmund. E lì non venne enfatizzato abbastanza il suo recupero miracoloso per la gara di ritorno con il Real Madrid, dove Paul tra l’altro risultò decisivo nell’azione del gol dell’1-1. Con una lesione grave del bicipite femorale, rientrò in 51 giorni. L’anno scorso è stato peggiore: tanti infortuni muscolari e qualche recidiva, il tutto condizionato da una preparazione su cui incideva la Supercoppa a Shanghai. E poi abbiamo viaggiato molto durante quell’estate, disputammo amichevoli come quella contro il Marsiglia, che sembrava quasi una semifinale di Champions. Arrivati in questo periodo, prima della partita decisiva a Monaco di Baviera, si fecero male Marchisio e Dybala. Senza contare Mandzukic che non stava bene, forzammo il suo ritorno per metterlo a disposizione del tecnico. E abbiamo comunque giocato la partita dell’anno. Dopo quel match eravamo distrutti…
 

Cosa ricorda con più piacere di quella stagione?
 

Il fatto che nonostante tutto, abbiamo vinto addirittura più titoli rispetto alla precedente. Poi quella cavalcata clamorosa, con 25 vittorie su 26 in campionato. In più la Juventus tornò alla vittoria in Inghilterra, contro il Manchester City, dopo 20 anni. Senza contare il record di imbattibilità di Buffon e, nell’ambito della confidenza che ho con i toscani, anche il ritorno al gol di Barzagli. Non segnava su azione da 12 anni, lo prendevo sempre in giro. Mi ha regalato pure la maglia di quella partita contro l’Atalanta.
 

Da un punto di vista fisico, qual è il giocatore che l’ha più stupita?
 

Ho avuto la fortuna di stare per due anni a contatto con grandi campioni e veri top player, mix di tecnica e fisicità, ma alla fine non ho dubbi e dico Buffon. Le parate che fa lui non le fa nessuno, parlando anche in relazione all’età. Potrei parlare dei gesti di decine di campioni, ma secondo me quello che fa Buffon è veramente fuori dalla norma.
 

QUI LA SECONDA PARTE DELL'INTERVISTA.