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Dopo Gigi Buffon un altro “carrarino” sta per arrivare alla corte della Juventus. Due storie parallele e diverse destinate a confluire in una sola immagine da favola. Quella del capitano è diventata grande strada facendo sino a proporsi come memorabile. Quella del giovane e quasi certamente nuovo talento bianconero possiede, già in origine, tutte le caratteristiche per essere riscritta in copia carbone.

Lo stesso luogo di provenienza. Carrara dove, tra mare e monti, un popolo di brava gente rappresenta nel suo quotidiano tutto ciò che di fatto è “l’anti-Versilia” ovvero quella striscia di costa che si allunga tra Pietrasanta e Forte dei Marmi la quale è il regno del glamour cialtrone, pseudo intellettuale e anche un po’ maleducato. Da Massa in su, verso la Liguria, è altra musica.

Mare e montagne. L’acqua nella quale è nata la vita primordiale. Il segreto ventre della terra dove talvolta si può anche morire tentando di soddisfare i bisogni essenziali di una famiglia. Cantano i pescatori mentre gettano le loro reti da paranza sotto lo sguardo della luna. Suona un “corno” per annunciare che occorre vestire il lutto perché la cava ha preteso un nuovo sacrificio umano. Capita.

Gigi Buffon è figlio della sabbia e delle onde. Le sue radici affondano nella Marina e si sviluppano in una famiglia piccolo borghese sana e intraprendente la quale dello sport ha fatto il suo strumento di vita e di sussistenza. Federico Bernardeschi è un ragazzo scolpito nel marmo la cui polvere e il cui profumo ha imparato a distinguere fin da neonato quando il babbo tornava a casa svestiva i panni usati al lavoro. Alberto Bernardeschi, cinquant’anni, è un cavatore.

Al momento sono un papà felice e orgoglioso al di à di ciò che potrebbe accadere tra breve. La parola sacrificio, per me e per la mia famiglia, è quella che sta alla base della vita. Ora, finalmente, posso dire che ne valeva la pena anche per ciò che ha saputo fare Federico e per i traguardi che sono convinto saprà raggiungere nel corso di una carriera da lui voluta fortemente e da sempre. Siamo partiti dalle nostre biciclette. Lui con la sua per andare a scuola. Io con la mia per raggiungere il posto di lavoro. Poi, insieme, al campo di pallone quando faceva sera. La sua passione da quando aveva sei anni. L’Atletico Carrara è stata la sua prima scuola. Poi siamo passati al treno. Per andare e tornare da Empoli, al Ponzano. Addirittura l’aereo, qualche volta, per raggiungere Crotone. Infine la Fiorentina. Una società della quale posso  solo parlare bene perché dopo l’incidente subito da Federico lo ha seguito e curato come un figlio consentendogli persino di vestire la maglia della nazionale. Un poco come fece Pier Cesare Baretti con Baggio quando era in viola con un ginocchio a pezzi. E ora, come Baggio, anche mio figlio potrebbe giocare nella Juventus. Un sogno per ciascun calciatore che possieda le giuste ambizioni. Cambieremmo autostrada e direzione. Con la gioia nel cuore”. Così, tutto di un fiato il signor Alberto anche ai suoi amici e a se stesso, come a volersi liberare di un sogno solo ipotetico che, oggi, sta per trasformarsi in realtà.

Batte forte il cuore del cavatore. Pulsa all’unisono con tutti quelli dei suoi colleghi i quali, sparsi nelle cave delle montagne da dove si può vedere il mare in lontananza, gioiscono e fanno festa quando a uno di loro succede che la fortuna si ricorda di far crescere un fiore bello e profumato tra le polveri del marmo che fanno tossire brutto e qualche volta anche sputare sangue. Sarà notte di brindisi e di cibo genuino da “Cocò” il ristorante vicino a Sarzana dove si ritrovano per occasioni speciali i lavoratori del marmo e anche gli iscritti al “Juvents Club” di Carrara sul cui pullman dallo prossima e imminente stagione dovrebbero salire anche i  famigliari di Federico

Ecco, la composizione del nuovo capitolo relativo alla favolosa storia di un ragazzo che porta sul fianco tatuato il “Padre Nostro” scritto in latino per voto fatto quando gli riscontrarono una anomalia cardiaca e che ha il sano coraggio di negarsi alle  ricche telecamere del “talent” televisivi perché non vuole mettere in ridicolo la sua professione…ecco, dicevo, il racconto può cominciare. Con addosso verosimilmente la maglia bianconera e e con in mano un pennello da intingere nella tavolozza con tutti i colori dell’arcobaleno. Quello che fa da ponte tra mare e montagna dopo il temporale.