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La spettacolo che Juventus e Inter tra poche ore andranno a rappresentare sulla scena dello “Stadium” appartiene, nella sua completezza storica, al patrimonio cultura-popolare che nei musei di prestigio trova uno spazio tutto per sé dove essere custodito e ammirato. Se, poi, si volesse accostare l’evento di questa sera ad un capolavoro letterario, la sezione dell’epica sarebbe perfetta.

Occorrerebbe la penna e la fantasia di un poeta enorme come l’Omero dell’Iliade per narrare le vicende e per descrivere i personaggi di una saga sportiva differente da tutte le altre e quasi senza tempo. Anche in questo caso, come avviene nel romanzo in metrica scritto dal ”grande cieco”, accanto ai protagonisti principali si muovono figure che senza essere clamorose per le loro azioni non possono venir giudicate come comprimarie. Ciascuna con il proprio ruolo. Ognuna di esse condizionata dal volere, talvolta capriccioso, degli dei dell’Olimpo. Quelli che oggi potremmo riassumere con la parola destino.

Ecco, proprio il destino in queste ore di attesa mi spinge a passeggiare per le strade di una città magicamente particolare come Livorno. La sua “Piccola Venezia”, il Porto commerciale, quello Mediceo, il mercatino americano, la scuola per ufficiali gentiluomini della Marina, l’incredibile aria di sana anarchia che si respira tra gente vera, il caciucco, infine lo stadio intitolato ad Armando Picchi. Lui, vanto della città tifosa, e protagonista di uno fra i capitoli più toccanti e più tragici dell’intero racconto epico bianconerazzurro.

Era livornese Armando Picchi. Esattamente come Massimiliano Allegri. Entrambi calciatori, con valenza e carriera differente, begli uomini amanti di bellissime donne. Un sottile filo a legarli, da qualche anno. La Juventus alla quale Allegri è solidamente aggrappato e dalla quale Picchi venne strappato con inaudita violenza in maniera assolutamente prematura.

Picchi era stato il “colpo di genio” di Giampiero Boniperti il quale su suggerimento di Italo Allodi, l’Ulisse dell’epoca, aveva voluto scommettere su quell’uomo che con la maglia dell’Inter aveva conquistato il mondo ma che, come allenatore, era un signor nessuno. Il presidente della Juventus ha sempre avuto un fiuto incredibile anche come talent scout e poi il fatto che il livornese uscisse dalla scuola del grande Helenio Herrera rappresentava una garanzia in più. Fu così che Boniperti affidò nelle mani di Picchi non una Juventus qualsiasi, ma una squadra già ricchissima di giocatori per la serie saranno campioni. Si sentì bussare alla porta, quasi subito. Era normale poter pensare che davanti all’uscio ci fossero la fortuna e il successo i quali chiedevano di entrare. Assolutamente no. Erano il destino e la malasorte.

Durò quanto il battito delle ciglia l’avventura di Armando Picchi alla Juventus. A gennaio del 1971 cominciò a tossire e a sentire fitte strane alla schiena. Un giorno di maggio, in una casa della Liguria che Boniperti gli aveva messo a disposizione per la convalescenza, chiuse gli occhi per non riaprirli più. La stagione successiva sulla panchina della Juventus andava a sedersi Giovanni Trapattoni. La seconda “scommessa” del presidente bianconero. Questa volta sarebbe stato lui a vincere.

La Storia, quella vera, è ricca di personaggi e di avvenimenti sorprendenti che impongono riflessioni. Se, per esempio, Cleopatra non fosse stata uno schianto di donna con il nasino in su alla francese con ogni probabilità il grande Cesare non avrebbe perso la testa per lei  e le cose del mondo avrebbero preso una direzione differente. Potere del destino, insomma. Però spesso a far tornare i conti ci pensa il tempo che, come si dice, è galantuomo. Massimiliano Allegri sotto questo aspetto ha l’opportunità di passare alla cassa e di farsi restituire, con gli interessi, ciò che la cattiva sorte aveva rubato al suo concittadino. Vincendo tutto quel che sarà possibile. Dalla partita con l’Inter, oggi, alla Champions, tra qualche tempo. Come avrebbe potuto fare il suo vecchio collega Armando Picchi.