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Bayonne è una piccola e deliziosa città sdraiata ai piedi dei Pirenei, sul versante francese. Un luogo che per capitarci e per arrivarci devi avere uno scopo ben preciso. Altrimenti lo puoi sfiorare appena senza farci troppo caso. Ammenochè tu non sia un gourmand e intenditore di prosciutti. Qui, a ventiquattro chilometri dal confine con la Spagna, ne esiste uno di qualità rara e speciale introvabile in altre parti del mondo. Carni di una razza di maiali nutriti con mangimi che soltanto gli allevatori locali conoscono e poi una volta lavorate fatte seccare al vento del “phon” atlantico che amalgama e addolcisce il sale penetrato sino all’osso. Da leccarsi i baffi, come si dice. Di questo prodotto, principalmente, vivono i “bayonneis” oltreché di artigianato. Il turismo è da “toccata e fuga”. Verso nord per raggiungere la vicina e molto snob Biarritz. Verso sud dove, a sessanta chilometri, si trova Lourdes con il suo grande mistero mariano.

Ho vissuto, benissimo, dieci giorni a Bayonne. Tredici anni fa. Per l’esattezza dal 17 al 27 maggio del 2004. Il mese e l’anno in cui la Juventus del presidente Umberto Agnelli annunciò che il nuovo allenatore della squadra bianconera per la stagione a venire sarebbe stato Fabio Capello. Una notizia che sorprese non poco e che colse tutti impreparati. A me e al mio giornale di allora, che era “Tuttosport”, mandò a carte quarantotto giornate di duro lavoro. Sì, perché a Bayonne ero arrivato con uno scopo ben mirato. Per raccontare, a puntate quotidiane, vita e opere e miracoli di Didier Deschamps. L’ex campione della Juventus che, ormai diventato allenatore, tutti davano per scontato come tecnico del nuovo corso dopo che Marcello Lippi aveva lasciato per approdare in nazionale. Il fatto è che lo stesso Deschamps, oggi cittì della Francia, era assolutamente convinto di essersi assicurato il posto sulla panchina della squadra per la quale era stato capitano. Il mio compito era quello di rivisitare la vita del campione, dal giorno della sua nascita a quel momento dell’investitura, attraverso le voci dei suoi concittadini. Dalla maestra delle elementari al primo allenatore, dal parroco della cattedrale agli amici di gioventù, dalla prima fidanzatina alla suo coatch di rugbista mancato. Insomma, quasi una “Tac” seriale. Bayonne, i suoi abitanti, erano orgogliosi di quel “figlio” destinato a guidare una fra le più celebri e forti squadre d’Europa. Io ci davo dentro a scrivere e a inviare foto in esclusiva. La sera del 27 maggio da Torino mi comunicano che Deschamps non sarà l’allenatore della Juve perché Umberto Agnelli, prendendo tutti in contropiede, ha scelto Capello. Proprio lui, don Fabio, quello che aveva detto peste e corna della società bianconera. Gettai nel cestino della carta straccia l’ultima e ormai puntata del reportage. Era la prima volta che mi capitava una fregatura del genere. Lasciai la città dei Pirenei francesi la mattina successiva con dentro un pizzico di malinconia come sempre accade quando devi andartene da un posto dove sei stato bene. E io mi ero trovato proprio alla grande a Bayonne con la sua brava e bella gente.

Sono felice e anche fiero, per i “bayonneis”, per il fatto che oggi la cittadina torni questa volta sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e non soltanto in quelle delle cronache sportive. Stamane un atto epocale di pace universale si compirà nel luogo che dette i natali a Didier Deschamps. Non soltanto dal nord della Spagna, ma da ogni angolo della terra in rappresentanza e a testimonianza di una “nuova era” arriveranno a Bayonne gli ormai ex combattenti dell’Eta insieme con migliaia di uomini e donne e bambini baschi per dichiarare che “la guerra è finita” e per firmare uno storico “documento di pace” sancita tra gli indipendentisti e il governo di Madrid. Sessant’anni di lotta e momenti di altissima ed efferata tragicità verranno finalmente archiviati si spera in maniera conclusiva e con reciproca soddisfazione più o meno come avvenne in Irlanda del Nord con lo scioglimento ufficiale dell’Ira. Naturalmente il popolo basco non rinuncerà alla propria identità di “spagnolo per caso” ma allo stesso tempo, con la deposizione delle armi, da oggi in avanti ogni atto violento ispirato da un desiderio arcaico di indipendentismo non avrà più alcun senso o modo di esistere. Resterà, come simbolo di fierezza di orgoglio, l’Athletico di Bilbao insieme con i suoi giocatori tutti rigorosamente baschi e con il suo pubblico a sventolare la bandiera di un “popolo” che vive e convive fraternamente con un altro “popolo”. Ma sarà, questa volta, un vessillo di pace. E tutti nel mondo sapranno dove si trova Bayonne.