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Luciano Moggi compie ottant’anni e ovviamente gli facciamo i nostri migliori auguri. Fin quasi ai settanta è stato uno dei padroni del nostro calcio benché non fosse un padrone ma anzi, al contrario, un dipendente (della Juve, nell’ultimo periodo). Comandare per tanto tempo qualcosa che non era suo è stato, in fondo, un colpo geniale. Poi Calciopoli e la fine, ma lui da questo mondo non riesce a stare alla larga tant’è vero che s’è inventato una vecchiaia da dirigente di un club albanese. Il pallone è una malattia, già: niente di così grave, in fondo ce ne sono di peggiori. 

Lucianone nostro passerà alla storia come il male del calcio, per chi non è juventino. Per tanti juventini, invece, sarà per sempre un dirigente straordinario diventato nel 2006 la vittima di un clamoroso complotto. Giusto per capire subito da che parte stiamo, diciamo che ci avviciniamo molto alla visione dei primi. Senza Moggi questo mondo, certo mai trasparente fino in fondo, ci appare migliore, e anche la Juve ci piace decisamente di più. Agnelli e Marotta hanno dimostrato che si può vincere anche senza essere troppo arroganti, senza gestire il mercato di troppe società, senza avere un figlio procuratore di troppi calciatori della propria squadra. E senza telefonare ai disegnatori arbitrali con un tono troppo amichevole o troppo prepotente (e qui gli juventini ci diranno che lo facevano tutti: a noi non pare che tutti avessero lo stesso comportamento nei confronti dei celeberrimi Bergamo e Pairetto, e nemmeno ai giudici).

Semmai è un peccato - questo sì - che un dirigente con le capacità di Moggi si sia fatto prendere la mano, andando molto oltre quello che il suo ruolo gli consentiva, sentendosi in potere di fare tutto senza che nessuno fosse nelle condizioni di fermarlo o quanto meno di arginarlo. Sì, è un peccato, perché chi lo ha visto lavorare - e noi lo abbiamo seguito per tanti e tanti anni, spesso da vicino - non può tacerne le qualità, accanto alle mancanze.

Moggi è, innanzitutto, un grande conoscitore di calcio. Quando, mezzo secolo fa, vide Franco Causio in campo durante un provino al quale assistevano gli osservatori di tanti club, disse subito all’allenatore di sostituire quel ragazzino, che se ne andò sbattendo le scarpe per terra perché pensava di essere stato bocciato in pochi minuti. Macché, quei pochi minuti erano stati sufficienti a Lucianone per capire che si trattava di un fenomeno e temeva che se ne accorgessero anche gli altri. All’epoca Moggi lavorava alle Ferrovie dello Stato, però aveva la vocazione del dirigente. “Qui io non ho problemi perché delle società conosco tutto, anche quello che deve fare il magazziniere”, diceva ai tempi in cui dominava il mondo con la Juve.

Pian piano, come detto, quel “so tutto” ha pensato di trasformarlo in “posso tutto”. E ha pagato, com’era giusto che fosse. Auguri, comunque, anche per la nuova avventura in Albania. Non ti abbiamo dimenticato, ma non ci manchi.

@steagresti