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Blaise Matuidi ha conquistato la Juventus in pochi mesi, confermando la bontà della scelta di dire addio al Paris Saint-Germain dopo sei anni. Il centrocampista francese ha rilasciato una lunga intervista a Le Figaro prima dei prossimi impegni con la Nazionale.

Juve capolista in Serie A, qualificata per i quarti di finale di Champions, tu sei un titolare indiscutibile… stagione da sogno?
“Va tutto bene. Poi, come continuano a dirmi da quando sono arrivato qui, non è questo il momento della stagione in cui fare i conti. I musicisti si pagano alla fine del ballo e alla Juve è così. Il Napoli sta facendo la stagione della vita. C'è suspense e tutto si giocherà fino alla fine, è eccitante per noi e per i tifosi. Ma ancora non è deciso niente”.

Ti senti come se avessi cambiato dimensione passando dalla Juve al PSG?
“Sì. Quando sono arrivato, ho subito capito che questo club ha una lunga storia. Te ne rendi conto quando scopri il museo, i molti trofei o visiti il centro di allenamento dove ti viene spesso ricordato - con foto, repliche, titoli vinti, i grandi nomi che hanno giocato qui - la responsabilità di indossare questa maglia. La Juve è un'istituzione che non è nata ieri e quando sei un giocatore vuoi assolutamente essere al giusto livello per rispettare questa tradizione”.

Nello sport di livello, tutti sono d’accordo nell’evidenziare l’importanza dei “piccoli dettagli”. Cosa significa?
"È vero e qui lo percepisci ancora di più. Niente è lasciato al caso. Che sia il personale medico - che non so quanti specialisti abbia per piedi, gambe, parti superiori del corpo - o lo staff tecnico dentro e fuori dal campo, non siamo mai lasciati soli (sorride, ndr). Questo è il segno distintivo. Se non perdi niente, è perché lavori come un matto tutti i giorni. Ci sono momenti in abbiamo problemi, ma come diciamo qui fino alla fine (in italiano, ndr), lottiamo fino alla fine. È la nostra forza”.

A 31 anni ti senti ancora più aggressivo ma soprattutto più forte?
"Sto crescendo ancora. Se mi sorprende? Onestamente, avevo bisogno di una boccata d'aria fresca la scorsa estate. Ho trascorso sei anni meravigliosi al PSG ma avevo bisogno di un altro ambiente, di una cultura diversa. Non dico che non mi sentissi a mio agio a Parigi, ma ho sentito l'impulso di mettermi in gioco. E’ per questo che mi sento meglio, che cresco. Lavoriamo molto qui, il pensiero e l'approccio nelle sessioni di allenamento sono diversi. Recepisco tutto e questo alla lunga paga”. 

Dal punto di vista fisico, sei stato uno dei giocatori più presenti in Francia e lì sei salito ancora più di livello…
“E’ come una seconda giovinezza, lo sento anch’io. Già a Parigi avevo delle qualità interessanti, ma qui sono cresciuto. Mi sono obbligato a lavorare, finalmente sono stato costretto a farlo. Qui ho imparato il piacere del lavoro quotidiano. Arrivo molto presto al centro sportivo al mattino e non torno a casa prima delle 16, non ero abituato. E’ un cambiamento nel modo di lavorare ed è per questo che mi trovi ancora più giovane (ride, ndr)”.

In Francia, la Juve conserva sempre questa immagine di “mito eterno”. Ne sei consapevole vivendo all’interno di questo club?
“Lo slogan del club è vincere e non è lì soltanto per sembrare carino. In alcune partite, come il doppio confronto contro il Tottenham, abbiamo l'impressione di soffrire, ma è proprio in questa sofferenza che otteniamo il meglio dal gruppo. Fino alla fine, vogliamo avere l'ultima parola. Nello spogliatoio abbiamo campioni del mondo, ragazzi che hanno vinto campionati in tutta Europa. Abbiamo senatori come Buffon, Chiellini, Barzagli o Marchisio solo per nominarne alcuni. Anche il legame con i giovani è forte. Quando arrivi, non ti fanno regali, devi dimostrare il tuo valore. La fiducia c’è, ma c’è sempre la possibilità di mettere qualcuno in panchina. Io non ho 20 anni e ho vinto qualche titolo nella mia carriera in un grande club come il PSG. Però ho dovuto impormi e trovare il mio posto”.

Non hai un piccolo rimpianto per non aver provato l’esperienza all’estero prima nella tua carriera?
“Per niente. Non devi mai pentirti nella vita e, visto che sono credente, ti dirò che Dio ha fatto di tutto per farlo accadere in questa stagione. Posso vincere il mio primo Scudetto con la Juve e forse anche di più. Alla fine della mia carriera, potrei dire che non ho vinto soltanto in Francia. Sarà gratificante per me e per i miei figli. Potrò dire loro: ‘Guardate, bambini, papà è riuscito a giocare bene in Francia e in Italia’. È anche per loro che abbiamo provato questa esperienza all'estero. E includo mia moglie in questa avventura. Tutto è stato pensato e valutato insieme. Le mie due figlie grandi parlano inglese e italiano meglio di me perché frequentano la scuola internazionale, è più facile per loro. Sono dotate e mi insegnano la lingua. Non ho avuto questa possibilità e mi rende così orgoglioso di potergliela offrire”.

Sembra che la tua vita familiare abbia la priorità sul tuo essere calciatore professionista…
“Mia moglie e i miei figli sono la cosa più importante della mia vita. Era essenziale che si sentissero bene a Torino e se io sono bravo, non c’è alcun segreto".

Sei partito per giocare fino a 40 anni, allora?
“Ci sono alcuni bellissimi esempi di longevità qui (ride, ndr). 40 anni, forse un po’ di più, giusto? Devi vedere se il club si fida ancora di te. I giovani ti spingono, ma giocherò a calcio finché ne avrò la possibilità”.