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Cinque milioni di dollari rappresentano un tesoretto di tutto riguardo. Anche per il mondo del calcio dove il valore e la gestione del denaro sembrano aver smarrito ogni tipo di buon senso. Con una cifra del genere è possibile fare parecchie cose. Sicchè è comprensibile che la Federazione Italiana Gioco Calcio non abbia esitato nel rispondere affermativamente al giovane emiro Thamin, rampollo della potente dinastia Al Thami, allorchè il nobile despota del Qatar ha offerto agli italiani tutto quel denaro purchè la Juventus e il Milan si presentassero nello stadio di Doha per contendersi la Supercoppa. Un trofeo assolutamente made in Italy.

E’ vero che, anche nelle migliori famiglie, quando di mezzo ci sono i quattrini la regola è quella di non badare al capello andando troppo per il sottile. E’ altrettanto scontato che, da una decina di anni a questa parte, anche il mondo del pallone è più che mai disposto a vendersi al miglior offerente. Però esistono, comunque, dei precisi e particolari momenti storici della nostra esistenza in cui sarebbe quanto mai opportuno e anche saggio negarsi al linguaggio dei quattrini e concedersi qualche “lusso” di buona etica. Una di queste occasioni recenti era rappresentata dall’appuntamento calcistico ormai programmato nella capitale del Qatar.

Non è la prima volta che il “barnum” della Supercoppa migra all’estero. Proprio nello stadio di Doha la Juventus dovette cedere le armi a fronte del Napoli in una gara a dir poco rocambolesca. In precedenza anche a Pechino e negli Stati Uniti vennero disputate alcune finalissime tra squadre italiane. Il fatto che, questa volta, come Paese organizzatore l’abbia spuntata nuovamente il minuscolo e desertico emirato non deve stupire più di tanto. Il Qatar, come è noto, grazie al suo strapotere finanziario figlio degli unici due tesori che possiede otre alla sabbie e al vento caldo di “shamal” (petrolio e gas) aveva già avuto modo di essere molto persuasivo con Blatter con Platini i quali gli avevano assegnato il Mondiale del 2022.

Preso atto di un certo funzionamento della macchina calcistica, vorrei far osservare che la Federazione, insieme con Juventus e Milan, avrebbero non solo potuto ma dovuto comportarsi diversamente annullando per “ritrovata dignità” l’impegno preso con l’emiro e facendo giocare la Supercoppa in Italia nello stadio di Pescara. Non per una questione legata al nazionalismo, ma per un’opportunità pratica e morale. Ricorderanno tutti, infatti, la fantastica e massiccia mobilitazione subito dopo il devastante terremoto che ha cancellato parte del Centro Italia e che sta ancora costringendo tanta brava gente a sopravvivere come rifugiati. L’azienda calcio, per voce ei suoi rappresentanti, aderì con entusiasmo al movimento solidale garantendo donazioni assortite. Ammesso che alle parole abbiano fatto seguito i fatti, l’occasione di riunire i tifosi bianconeri e rossoneri nello stadio della città simbolo di quella che dovrà essere la terra della rinascita con conseguente incasso da destinare per la ricostruzione a mio avviso era da non perdere. Con buona pace dei qatariani i quali, fatti due conti, non hanno esitato a tirarsi indietro dopo aver promesso un intervento massiccio per sostenere il Monte Paschi di Siena nell’opera di ricapitalizzazione.

Tutto questo senza dimenticare i padri fondatori della Supercoppa. Un trofeo che venne ideato da un collega, Enzo D’Orsi, nel 1988 durante una cena di amici giornalisti “simpatizzanti doriani” organizzata da Paolo Mantovani. Il presidente della Samp si entusiasmò per la proposta e telefonò immediatamente a Luciano Nizzola, allora presidente della Federazione, il quale diede il suo parere favorevole. Insomma, talvolta, mettere il cuore davanti al profitto può fare soltanto bene. Specialmente sotto Natale.