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Cosa fatta capo ha. Sicché, come suggerisce una certa saggezza napoletana, “scurdammoce ‘o passato”. Non è facile, però. Nessun tifoso bianconero, soprattutto quelli dal palato fine e amanti dello spettacolo, potrà ammettere di non aver provato un sottile sentimento di sana rabbia vedendo l’ormai ex Dani Alves prendere per mano il PSG e, con le sue magie assortite, portarlo a vincere la supercoppa francese ai danni del Monaco.

Non è affatto escluso che gli stessi Marotta e Paratici abbiano assistito alle imprese del loro transfuga. Persino Andrea Agnelli, nella sua villa di Forte dei Marmi dove sta trascorrendo le vacanze, potrebbe aver dedicato un paio di ore alla partita giocata in Marocco. Così, anche soltanto per la curiosità di vedere come se la cavava il folletto brasiliano nella sua nuova squadra. In tal caso anche loro avranno provato un minimo di imbarazzo del tutto giustificato. Insomma, a conti fatti, occorre dire che la Juventus ha perso qualche cosa di importante lasciando partire Dani Alves senza fare tutto il possibile per trattenerlo.

Ma era proprio il caso che finisse così? Direi assolutamente di no anche se mi rendo conto che sarebbe stato quasi impossibile impedire al geniale giocatore, già molto amato dal popolo bianconero, di prendere la strada che riteneva più giusta per lui. La responsabilità di questo divorzio annunciato è pirandelliana. Nel senso che è di tutti, di nessuno o di centomila.

Il paragone con il “caso” Bonucci non regge. Il difensore avendo litigato di brutto con Allegri, per la serie “o lui o io”, non avrebbe potuto fare altro di differente se non andarsene. Dani Alves non era entrato in rotta di collisione con nessuno in particolare. Anzi, per lo spogliatoio era una sorta di portafortuna capace di contagiare con il suo buonumore talvolta estemporaneo l’intero gruppo. Il fatto è che alla Juventus, per tradizione radicata (la medesima che, a suo tempo, impedì l’arrivo di un artista un poco folle come Maradona), non sono ammessi dipendenti caratterialmente “borderline” i quali secondo gli schemi di rigorosa gestione aziendalista potrebbero destabilizzare in qualche modo l’ambiente.

Dani Alves questo lo ha detto e lo ha ripetuto confermando pubblicamente che non se la sentiva più di lavorare in una “gabbia”. Il fatto che, poi, lo abbiano voluto accusare di ingordigia economica suona più che altro come un comodo alibi per giustificare la sua partenza.

Ripeto. Cosa fatta capo ha. Però il “caso” di Dani Alves dovrebbe servire come lezione per il futuro e anche per il presente. Semmai la Juventus, come società, riuscisse a spogliarsi almeno ogni tanto e quando ne vale la pena del rigoroso e formale smoking intellettuale e decidesse di vestire i jeans non farebbe una cosa sbagliata. Con un minimo di tolleranza in più e di apertura mentale anche a quelli ai quali piace per vocazione cantare fuori dal coro non si avrebbe un rimpianto, reale anche se non dichiarato, tipo quello provato ieri sera guardando in tivvù mago Alves.

@matattachia



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