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Mai come questa volta il mercato degli allenatori è stato così avaro di spostamenti. Eccezion fatta per le società per le quali era indispensabile un’autentica rifondazione anche ideologica, la tradizionale pista per la “danza delle panchine” è stato praticamente disertata. Si tratta di una novità tutto sommato positiva per il nostro calcio e per coloro che lo gestiscono, in quanto segnale di una certa coerenza e di una buona dose di pazienza.  Poi, quasi certamente, a lavori in corso e dopo qualche giornata dall’inizio del prossimo campionato ci sarà o saranno i soliti “pentiti” che provvederanno a sparigliare questa ritrovata tendenza verso il rispetto del lavoro altrui. Ma questo, purtroppo, fa parte del costume italiano.

Tra i nomi dei tanti mister riconfermati più o meno a lungo termine troviamo quello di Massimiliano Allegri il cui sodalizio con la Juventus, dopo un momento appena di reciproca perplessità, è stato ribasato e ricementato in maniera ancora più solida. Alla base del rinnovo e dell’aumento del compenso fanno naturalmente da colonna portante i successi ottenuti dalla squadra bianconera sulla scena del calcio nazionale insieme con la speranza di poter aggiungere il prossimo anno al già prezioso collier anche quel gioiello europeo che è sfuggito di mano proprio all’ultimo atto. Oltre al dato incontestabile dello scudetto e della Coppa Italia contenuti dentro lo scrigno di un “potere” agonistico e tecnico decisamente superiore a quello delle concorrenti, va preso atto che anche la tifoseria bianconera ha abbandonato quel senso di indifferenza e persino di diffidenza che aveva mostrato nei confronti del tecnico livornese. Ora tra le due parti non ci sarà amore sfrenato, ma sicuramente sentimenti di rispetto e di fiducia.

Detto questo, non per fare i disfattisti, ma per usare la ragione, magari in modo machiavellico, sorge una domanda. La Juventus e Massimiliano Allegri hanno fatto davvero la scelta giusta nel riproporre nuovamente a a tempi lunghi la loro partnership professionale oppure dopo aver raggiunto lo zenit insieme non avrebbero fatto cosa più utile a salutarsi entrambi con grande stima e a prendere strade diverse? E’ un dubbio che potrebbe apparire fuori luogo o addirittura paradossale visti i risultati conseguiti in tre anni di collaborazione, ma non è neppure così campato in aria come può sembrare di primo acchito, perché è figlio di altre simili realtà prodotte dal calcio contemporaneo.

Fin sul finire del secolo scorso esistevano allenatori la cui figura era segno distintivo di appartenenza ad una società e al suo popolo. Giovanni Trapattoni resta l’esempio più classico legato alla “sua” Juventus. Poi il calcio è cambiato ma soprattutto sono cambiati i giocatori i quali sempre più professionalmente perfetti e sempre meno sensibili alle emozioni “di pancia” non possono essere più gestiti da un allenatore anche un po’ padre o amico. Di qui la necessità, ancor prima per il tecnico che non per la società, di cambiare macchina dopo averla usata e sfruttata sino al limite del possibile. Maestro di questa strategia è Antonio Conte il quale dopo i tre scudetti consecutivi ha lasciato quella che sembrava dover essere la sua casa “eterna” per andare a vincere altrove. Max Allegri avrebbe potuto e forse anche dovuto fare la medesima cosa. La stessa Juventus avrebbe dovuto riflettere su questo elemento non di poco conto. Per fare meglio di ciò che è stato realizzato ai bianconeri e al suo allenatore non resterà che vincere la Champions. Il che, visti i precedenti, non sembra essere una missione così semplice. Il resto, scudetti e Coppe, sarebbero un ”dejà vu” alla fine, tutto sommato, noioso.