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Non avevo dubbi. Per intervenire, con un commento doveroso, mi ero soltanto imposto di attendere una conferma rispetto a ciò che immaginavo sarebbe accaduto. L’attesa di dieci giorni si era il tempo “sindacale” affinchè la Corte della FIGC si esprimesse nei confronti di Andrea Agnelli, di alcuni suoi collaboratori e della stessa società Juventus. Il verdetto di condanna, seppure di entità inferire a quella chiesta dal pm, insieme con le relative motivazioni a suffragio merita un unico aggettivo. Quello di vergognoso.

 Ancora più inaccettabile se si pensa che agendo in questo modo la giustizia sportiva, ultimo baluardo di ciò che per anni tutti abbiamo ritenuto la parte meno inquinata del sistema civile o penale italiano, ha di fatto sposato “in toto” quello che è la filosofia pressoché quotidiana della consorella “ordinaria” la quale con sentenze talvolta fantasiose e troppo spesso strumentali per finalità “politiche” in senso ampio offre la spaccato di un’Italia sempre più simile ad uno dei tristi Paesi del Terzo Mondo.

Non affermo quanto dico per partigianeria o per ossequio a un “potere”, come quello calcistico rappresentato dalla società bianconera,  che il nostro sito non ha mai esitato di criticare anche aspramente quando vi erano motivi seri e oggettivi per farlo. Neppure intendo affermare, contro certe “prove provate”, che Andrea Agnelli  sia la vittima innocente di una macchinazione. Semplicemente il presidente della Juventus è “colpevole” nella stessa e identica misura in cui lo sono e lo sono stati nel tempo altri sui famosi colleghi i quali, peraltro, non hanno mai dovuto subire inchieste o processi a carico per i “delitti” che hanno portato alla condanna del patròn juventino.

Senza voler partire troppo da lontano ma comunque da argomentazioni di grande rilievo, è persino ridicolo chiedersi se e fino a che punto per esempio la camorra non condizionasse la gestione del Napoli di Maradona.  E non solo in quanto a bagarinaggio o pretesa di biglietti omaggio, ma anche sul piano del merchandising e dei gadgets nel nome del Pibe. Mi piacerebbe sapere se il presidente De Laurentiis sarebbe pronto a giurare sul buon nome del Premio Oscar che lui o i suoi collaboratori non hanno ceduto alle minacce e ai ricatti di conosciutissime “belve” delle curve pur di evitare guai peggiori.

Per non dire di Massimo Moratti il quale, settimanalmente, si trovava a che fare nei suoi uffici della Saras con certi tipi poco raccomandabili appartenenti ai gruppi ultras. Idem per la Roma di Totti il quale era costretto a scendere a patti con tifosi soltanto sedicenti. E come vogliamo metterla con le tantissime società minori di un certo Sud dove ogni tanti ci scappa anche il morto?

Detto ciò, ma di esempi se ne potrebbero aggiungere altri non meno clamorosi, ecco perché la sentenza punitiva e all’italiana nei confronti di Andrea Agnelli e della Juventus suona come l’ennesima vergogna di una giustizia che ha imparato a usare l’ipocrisia come il suo teorema preferito.