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Ci sono giorni in cui le normali difficoltà quotidiane assumono l’aspetto di montagne ardue da scalare. Come canta Vasco “stupendo, mi viene il vomito…”. La depressione ammicca beffarda da dietro l’angolo. Da tempo ho scoperto un antidoto. Fare quattro chiacchiere con quella persona stupenda e bravo medico di Gino Strada. Ascoltarlo mentre racconta dei suo giorni difficili, ma pieni di amore solidale sgranati insieme con i suoi compagni di Emergency nei luoghi più maledetti del pianeta, equivale a fare il pieno di quel rinnovato entusiasmo indispensabile per riprendere la lotta continua dal punto in cui ci si era fermati. Il rispetto e la stima per il medico dei disperati della Terra, insieme con quello per Massimo e per Milly Moratti che con lui condividono materialmente l’impegno missionario laico, è la dimostrazione che anche la differente fede calcistica, quando non è antagonista ma produce soltanto sano agonismo, può rappresentare concretamente un momento di unione. E se l’ex patròn dell’Inter agisce a titolo personale, oltreché per convinzione ideologica, esiste una società dell’azienda pallone che qualche anno fa non ha esitato a spendersi ufficialmente e a operare con metodo per tentare di fare in modo che una grande fetta di umanità non viva l’inferno in terra.
 

Il giorno in cui il presidente della Juventus Andrea Agnelli ha siglato un documento di collaborazione insieme con il responsabile internazionale dell’Unesco, esattamente due anni fa, è da ricordarsi come memorabile. Da quel momento l’impegno della società bianconera si è rivelato importante, costante e produttivo. In particolare nei Paesi dell’Africa sub sahariana e specialmente rispetto ai bambini. Dopo interventi ausiliari nel Mali l’attività di “pronto soccorso” si è rivolta alla popolazione di una fra le nazioni del Continente Nero che per ricchezza naturale (diamanti e petrolio, in primo luogo) potrebbe essere l’Eden ma che, per ragioni politiche interne e per interferenze pesanti dei falchi occidentali, è un gigantesco bacino dell’orrore a cielo aperto. Parliamo del Congo, ex colonia belga e successivamente Zaire, dove ad una mortalità pazzesca per questioni sanitarie (40 mila i decessi ogni giorno) si affianca una puntuale e cadenzata carneficina provocata dalle armi.


Nella sola Kinshasa (foto who.int) sopravvivono trecentomila bambini abbandonati in strada. Molti di loro, maschi e femmine, vengono reclutati dagli uomini dell’esercito ribelle e anche da quello regolare del presidente Kabila e addestrati a uccidere. Ragazzini di sette e otto anni che con il mitra superano “l’esame di maturità” quando vengono spediti a fare razzia nei loro stessi villaggi di origine dove dovranno sparare su parenti e amici. Poi esiste l’altro esercito, ancora più imponente per numero, composto dai bambini e dai ragazzi che tentano di beffare la morte nelle bidonvilles di Boma e di Brazeville o nei mille accampamenti sparsi nel Paese. Una lotta durissima contro l’AIDS e malattie mortali assortite combattuta con armi impari malgrado gli interventi misericordiosi e spessi prodigiosi delle organizzazioni umanitarie occidentali religiose e laiche.


La Juventus opera per quel che può e senza soluzione di continuità. Gli stessi suoi dipendenti, manager e giocatori compresi, partecipano a questa piccola ma importante crociata sociale. La cartolina più bella e significativa al proposito è quella che mostra il volto sorridente di Herhier un ragazzino congolese di dieci anni e mezzo che gioca in una delle squadre dei pulcini bianconeri. Anche tramite la mediazione della società il bambino è stato adottato dai signori Pedrasi e vive con la sua nuova famiglia in un paesino dell’alta Val D’Ossola. Altri, sicuramente, lo seguiranno.


Intanto, come sempre, questa sarà la notte della Befana. Una vecchia dal cuore buono che, a cavallo della sua scopa, non mancherà di scendere anche tra le catapecchie delle bidonvilles africane per distribuire doni utili a chi ne ha necessità estrema. Volando verso il Continente Nero incrocerà una sua collega che le racconterà di essere diretta in Italia e più precisamente nelle zone dove vivono i sopravvissuti al terremoto. Nel tascapane la Befana africana porterà 238 euro. E’ la somma che in un villaggio intorno a Kinshasa i disperati della Terra hanno raccolto per i “fratelli” italiani. Sembra una storia inventata, ma è vera. Una lezione da imparare a memoria.