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Un applauso, sincero e di cuore, ai colleghi inglesi del Daily Telegraph. Il quotidiano londinese è uscito con una pagina che è un capolavoro da incorniciare. La gigantografia del minuto di silenzio nello stadio di Stoccolma con sopra il titolo “Manchester, United”. Una virgola a separare le due parole per rendere ancora più forte il concetto di “Unione”. La dimostrazione che la semplicità, quando è intelligente e parte dal cuore, è più efficace di ogni pomposa retorica.

Ieri sera, osservando Pogba che sollevava la Coppa appena conquistata con i compagni a fargli da corona e con Mourinho un poco più in là appena sorridente, non ho potuto fare a meno di lasciare libera la memoria affinchè tornasse indietro nel tempo per arrivare fino a quel terribile 29 maggio del 1985 che nessun uomo o donna, sportivi ma anche no, ha mai dimenticato e mai potrà farlo. Quello “prodotto” in Svezia e quello “realizzato” a Bruxelles. Il remake di uno stesso tragico film già visto e anche già vissuto. Due “feste”, a distanza di così tanti anni, bagnate dalle lacrime.

Esistono motivazioni differenti che ci spingono a piangere. Il dolore e la gioia che sono due momenti tra loro distanti come la notte dal giorno. Talvolta può accadere che, come al tramonto e all’alba, le due pulsioni si confondano in un paradossale mix emotivo. Lacrime figlie di un’anima a pezzi e lacrime generate da uno spirito allegro. Allora succede ciò che è accaduto ieri nello stadio svedese in copia conforme rispetto a quel che era capitato nell’Heysel di Bruxelles. La morte e la vita che scavalcano i rispettivi confini per unirsi in un abbraccio sorprendente.

Saltavano davanti allo loro curva i giocatori della squadra inglese. Proprio come Platini e i suoi compagni avevano dato di matto di fronte ai tifosi bianconeri assiepati nel settore opposto a quella maledetta “Z” dove, appena qualche ora prima, era stata consumata la mattanza di tante persone innocenti. Ricordo che allora i giocatori della Juventus vennero messi in croce dai media e dall’opinione pubblica con l’accusa di aver mortificato la memoria delle vittime esagerando in esaltazione. Platini, successivamente nel libro delle sue memorie, confessò di essere caduto in una sorta di “trance” incontrollabile dalla ragione. Sta di fatto che nessun protagonista di quella notte tragica è mai riuscito a parlare di quella Coppa dei Campioni come di un trofeo del quale andare orgogliosi. Rivisto a distanza di anni e copia-incollato sopra quello di ieri sera merita sicuramente una riflessione differente da quella censoria di allora e soprattutto meno farisaica.

Un evento di gioia come dovrebbe essere una partita di pallone è sicuramente complicato da accostare e da far convivere con il terribile dramma di una strage. Differenti, naturalmente, sono i punti di partenza specifici nel caso della Juventus e del Manchester United. La tragedia di Bruxelles venne provocata da quella parte di calcio ubriaco e teppista fortunatamente liquidato nel tempo grazie al pugno di ferro. L’olocausto dell’Arena inglese è frutto della lucida follia che alberga nelle menti malate di fanatici assassini istruiti da una religione falsata. E con questo tipo di cancro deve fare i conti l’intero mondo occidentale. In ogni caso non è possibile operare alcun distinguo di sorta tra morti ammazzati dal terrorismo e morti ammazzati dalla delinquenza comune. Le vittime sono vittime e basta. Loro, insieme con i famigliari e gli amici che restano a piangerli. Occorre rispetto. Grande rispetto.

Un rispetto al quale, diciamolo finalmente una volta per tutte e senza ipocrisia, non sono venuti meno i giocatori del Manchester in Svezia così come quelli della Juventus a Bruxelles. Sia gli uni che gli altri hanno soltanto compiuto il loro dovere professionale tentando e riuscendo di dare il meglio di loro stessi. Probabilmente, questo si, avrebbero potuto festeggiare in maniera più sobria ma quando sei “drogato” dall’adrenalina è impossibile controllarsi. L’unica soluzione per evitare queste scene di normale “follia agonistica” sarebbe stata quella di non giocare entrambe le partite. Ma scelte di quel tipo, certamente coraggiose, non appartengono alla filosofia di questa nostra società. Eppoi, ne sono certo, i giocatori inglesi e Mourinho avranno pianto negli spogliatoi a mente fredda. Proprio come vidi fare a quelli bianconeri e a Trapattoni nel sottopasso dell’Heysel. Vi assicuro che non erano lacrime di coccodrillo.

@matattachia