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Giorni cruciali per Casa Juve. Domani si conoscerà il nome della prossima avversaria di Champions. La penso come Buffon il quale si augura che dall’urna dei bussolotti non esca il Leicester. Ci sarebbe tutto da perdere in una gara contro gli ammutinati di Ranieri. Se li batti direbbero tutti “troppo facile”. Dovessero mai vincere loro “apriti cielo”. A questo punto che si facciano sotto Barca o Real. La squadra di Allegri possiede le armi giuste per un’eventuale resa dei conti da finale anticipata.

Andrea Agnelli dovrebbe finalmente presentarsi davanti alla Commissione Antimafia per chiarire, una volta per tutte, qual è stata (se davvero è accaduto) la sua posizione rispetto ai presunti contatti con alcuni esponenti della ‘ndrangheta calabrese per la questione del traffico di biglietti. La voce del presidente servirà, in ogni caso, per scacciare quelle, velenose, che dicono di un suo coinvolgimento diretto e che annunciano come conseguenza fatale il “golpe” degli Elkann.

Procede, non potrebbe essere altrimenti per non correre il rischio di trovarsi spiazzati, l’analisi della dirigenza bianconera sulla valutazione di chi potrebbe essere il nuovo allenatore per il prossimo ciclo perlomeno triennale visto che Massimiliano Allegri, malgrado tutte le smentite e le battute in proposito, dovrebbe già avere la valigia pronta per trasferirsi all’estero. La conferma è arrivata da Galeone, uno fra i più fedeli amici e confidente del tecnico livornese, il quale ha aggiunto che l’uomo giusto per i bianconeri sarebbe Paulo Sousa e non Spalletti. Concordo in pieno con Galeone. Non fosse che per “l’anima” autenticamente bianconera del portoghese.

Infine ci si avvicina alla domenica di campionato che vedrà la Juventus impegnata al “Ferraris” di Genova contro la Sampdoria. Una sfida che, due volte all’anno, mi provoca sottili tempeste emotive. Ciascuno di noi, oltre alla squadra del cuore, possiede un punto di riferimento calcistico di “riserva” almeno per simpatia. Il mio è, da sempre, rappresentato dalla Samp. Francamente non so come nasce questo legame. Forse dal colore delle maglie o da quel Capitan Trinchetto che nella fantasia di bambino somigliava tantissimo a Braccio di Ferro. Poi da ricordi sfumati in bianco e nero per giocatori come Bobo Vieri e Bruno Mora, indimenticabili anche nella Juve. E, andando avanti, le figure di Lippi, Vierchowood, Lombardo, Francesco Morini per finire con due vecchi e cari amici come Roberto Mancini e Luca Vialli. Su tutti il presidente Paolo Mantovani e le cene da “Ilio” che non c’è più. Si chiamano affettuose lontananze surrogate dalla presenza, oggi, del bravo “comunicatore” blucerchiato Paolo Viganò.

Ed è proprio nel “giro Samp” che ho conosciuto una persona davvero speciale, oltreché campione autentico. Parlo di Enrico Chiesa, il bomber che ha firmato pagine memorabili di calcio italiano anche con addosso la maglia azzurra della nazionale. Cremonese, Samp e Fiorentina sono state le sue case d’eccellenza. Un’altra avrebbe potuto esserlo e certamente lui l’avrebbe gradita. Era la Juventus, allenata da Lippi, dove Amoruso si trovava fisicamente out. Luciano Moggi pensò che Enrico Chiesa sarebbe stato il sostituto ideale. La Fiorentina “sparò” la cifra di cinquanta miliardi. Erano altri tempi. Meno folli. Chiesa, anche suo malgrado, non arrivò a Torino.

Una storia che potrebbe tornare di attualità a fine stagione con protagonista un altro Chiesa ovvero Federico, il figlio di Enrico. Un giovanissimo “lord inglese” alla cui bravura professionale corrisponde una statura morale e comportamentale altrettanto solida appresa su “banchi di scuola” di una famiglia, la sua, dove padre e madre gli hanno trasmesso i fondamentali di un’esistenza ricca di valori anche etici indispensabili per sopravvivere con dignità in questa gabbia di matti che è il mondo del pallone. Un giovane uomo “molto doriano”  e perfetto per lo “stile Juve”. Questo è Federico Chiesa, oltre i gol che sa fare proprio come il padre anche se del genitore non possiede la violenza del tiro. Certamente non sarebbe facile strapparlo ai Della Valle. Ma provarci o almeno pensare di poterci riuscire non è vietato. La chiave giusta per dare al figlio l’opportunità negata al padre potrebbe essere proprio rappresentata da Paulo Sousa e dal suo arrivo sulla panchina bianconera. E’ stato lui, il tecnico portoghese, a lanciare nella mischia il giovane campione. E’ un suo “figlioccio” ormai. Vederli arrivare a Torino insieme sarebbe fantastico.