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Certamente al popolo juventino, anche il giorno dopo, devono girare un bel po’ le scatole. Perdere contro la Fiorentina è come dover chinare la testa davanti al Toro. Il derby stracittadino, per la fantasia collettiva, possiede la medesima valenza di quello tra le due “ex capitali” Questione di punti-classifica, ma soprattutto di orgoglio. Eppure sempre il popolo juventino, almeno quella parte  non accecata dalla passione e in grado di ragionare usando il buon senso della sportività, non potrà prendersela con un avversario il quale ha sostanzialmente meritato il successo e neppure con quella “signora sfortuna” che viene tradizionalmente convocata nei “processi” dagli avvocati per tentare una difesa poggiata anche se elementi non razionali. Ebbene, qualcuno già lo sento lamentarsi per la grande occasione sciupata da Paulo Dybala a due minuti dalla fine. Con quel pallone alle spalle del portiere viola, anziché finito a salutare le stelle come se a calciarlo fisse stato “sciagurato Egidio” dei miei tempi, la Juventus sarebbe uscita dal Franchi con un prezioso punto in più e con uno stato d’animo diverso. Tecnicamente il ragionamento non fa una grinza, anche se con i “forse e i ma” non si va da nessuna parte. Eppure un pareggio, ripeto immeritato per ciò che si è visto in campo, avrebbe soltanto mascherato una realtà che al momento non deve essere considerata né drammatica e né preoccupante, ma che potrebbe diventarlo nel caso chi sta al governo del timone sulla barca bianconera avesse il buon senso e la modestia di farsi un minimo di autocritica e cancellasse completamente dal dizionario la parola sfortuna.

Ieri sera la partita tra Fiorentina e Juventus ha concesso l’opportunità di assistere al confronti diretto tra due allenatori i quali pensano calcio in maniera abbastanza diversa. La differenza, semmai, stava nel valore tecnico e commerciale che i due direttori di orchestra avevano e hanno a loro disposizione. E, sotto questo aspetto, non vi è dubbio che tra l’organico bianconero e quello viola non dico vi sia un abisso ma certo il gap è notevole. Il fatto è che Allegri, aggrappato al suo tradizionalismo e un poco anche alla sua presunzione, ha ritenuto che per sbrigare la faccenda con i viola fosse sufficiente usare soltanto in parte tutto il suo potenziale di fuoco. Al contrario, Paulo Sosa ha saputo usare la fantasia e anche il coraggio della sperimentazione rifiutando il teorema della fredda partita a scacchi. Il primo tempo della gara, con la Fiorentina che avrebbe potuto addirittura dilagare se il tanto criticato (ingiustamente) Buffon non si fosse opposto da par suo a Vecino e Chiesa, è stato esemplare sotto questo punto di vista. La Juventus, se vuole mantenere il suo primato e la sua fama di più forte del campionato, deve scendere in campo per quel che è e per ciò che possiede. Inimmaginabile e delittuoso partire con Pjanic in panchina, per esempio, quando si sa che il campione si trova al massimo della forma. Un’assenza non fine a se stessa che va a condizionare ogni altra singola parte di un meccanismo che altrimenti sarebbe perfetto con Dybala a fare le cose che sa e con Higuain maggiormente sorretto nello svolgere il suo ruolo di terminale. La stessa presenza di Sturaro, esemplare combattente ma privo di sale tattico, piuttosto che l’impiego di Pjaca appare piuttosto discutibile. Senza contare che per lasciar fuori un campione come Mandzukic ci vuole un bel coraggio.

Non è la prima volta, nel corso di questa stagione, che Allegri “frena” la sua Juventus pigiando sul pedale di una prudenza eccessiva e immotivata. Se un driver ha la fortuna di poter scatenare Varenne con tutta la sua e in tutta la sua bellezza e invece lo tiene a briglia, la responsabilità non è certamente del cavallo. Non credo che la Juventus, ieri, abbia compromesso la sua marcia trionfale verso lo scudetto. Penso che, invece, non vi possano essere dubbi su chi tra Paolo Sosa e Massimiliano Allegri abbia vinto la partita. Fantasia e coraggio sono più forti, sempre, di un compito di ragioneria anche se eseguito con serietà. E questo dovrebbe spingere i dirigenti bianconeri a riflettere sul futuro prossimo della panchina.