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Non vi può essere dubbio alcuno, ormai, sul fatto che il nostro è un Paese in vendita. Gli unici a fingere di ignorare le invasioni più o meno barbariche le quali impoveriscono sempre di più l’Italia sembrano essere i politici. Una casta dall’atteggiamento a dir poco imbarazzante e desolatamente litigiosa la cui unica finalità sembra essere quella di voler difendere i suoi interessi particolari con la faccia tosta di chi non mostra di provare vergogna neppure quando viene sorpreso con le mani del barattolo della marmellata. A destra e a sinistra, transitando per il centro, è praticamente impossibile trovare un punto di riferimento affidabile e consolante.

La recente scalata del gruppo francese Vivendi all’impero berlusconiano è soltanto la punta di un iceberg, sommerso ma gigantesco, contro il quale il sistema imprenditoriale italiano è andato a sbattere e i cui effetti dell’impatto potrebbero essere fatali proprio come accadde al leggendario Titanic. Un numero incredibile di piccole e medie aziende che, taglieggiate da gabelle uniche in Europa, si vedono costrette a svendere per evitare il crack. Botteghe artigianali o di famiglia che abbassano le serrande. Interi quartieri metropolitani trasformati in altrettante “chinatown”. Marchi storici che dell’originale mantengono soltanto la griffe. E anche l’azienda del calcio, lentamente ma inesorabilmente, ha intrapreso questa deriva di disimpegno nazionale.

Resistono per audacia e con orgoglio alcune “sacche” di imprenditori i quali, pur dovendo necessariamente attenersi alle nuove regole stabilite dalla globalizzazione delocalizzando parte delle loro imprese, non hanno alcuna intenzione di abbandonare il Paese che ha dato loro modo di agire certamente a vantaggio del loro profitto ma, di conseguenza, anche a beneficio dei lavoratori. Possiamo definirla tranquillamente classe di industriali illuminati o, in ogni caso, di investitori riconoscenti se non proprio nazionalisti. Tre di questi sono gli eredi dell’impero costruito dal vecchio senatore Agnelli e successivamente irrobustito dall’Avvocato Gianni. Nell’ordine John, Lapo Elkann e Andrea Agnelli.

Il gossip da osteria sussurrava e spettegolava di un Lapo ormai “disattivato” e nascosto chissà dove dopo l’ultima e maldestra disavventura newyorkese per la quale, tra l’altro dovrà venir giudicato da un tribunale americano essendo lui anche cittadino statunitense. Le voci di corridoio insinuavano di un John Elkann, primogenito e presidente della FCA, infuriato nei confronti del fratello e per niente disposto al perdono. Ebbene, le cose non stanno esattamente in questo modo. La cronaca in arrivo da Piazza Affari, perlomeno, impone di pensare proprio il contrario.

Italia Indipendent è un’azienda, di occhiali e di lusso, ormai consolidata sui mercati internazionali. A idearla e a metterla in funzione è stato proprio Lapo Elkann, insieme con due giovani collaboratori torinesi. Da qualche giorno nel Gruppo figura un nuovo socio che è entrato per affiancare la dirigenza già esistente con un consistente portafoglio grazie al quale è stato possibile operare un nuovo aumento di capitale mirato all’ulteriore crescita economico-finanziaria dell’impresa già quotata in Borsa e assolutamente intenzionata a non abbandonare il mercato italiano consentendo tranquillità ai suoi dipendenti e prefigurando nuove prospettive di lavoro per altre persone. Il tutto con la teste e con le gambe ben posizionate a Torino.

La decisione di John Elkann dimostra due cose. In primo luogo che Lapo, malgrado certe sue intemperanze dovute ad un carattere a volte eccessivamente scapigliato, non è affatto stato abbandonato dalla famiglia. Cosa che, purtroppo, era accaduta ad altri componenti “fuori dal coro” come per esempio lo sfortunato Edoardo il figlio primogenito dell’Avvocato. La lezione, evidentemente, è servita. In seconda battuta, oltre al dato domestico e affettivo, il segnale che i due fratelli hanno voluto dare facendo squadra insieme è di carattere squisitamente imprenditoriale e tiene conto della filosofia operativa firmata dagli Agnelli. Dal loro nonno Gianni, in particolare, il quale potrebbe essere “accusato” di fatali e umani errori ma non di aver mai anche soltanto immaginato una Fiat senza Torino e l’Italia così come la Juventus senza un Agnelli. E del secondo elemento, per la sua salvaguardia, si sta occupando Andrea.


Marco Bernardini