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Un dramma. Non servirebbe nemmeno dire altro. Alle 22.39 il calcio italiano, quello della Nazionale, è finito. Affondato con un pezzo di storia, in un evento che ci rimarrà addosso per sempre, come marchio indelebile. Solo 59 anni fa non siamo andati al Mondiale, solo nel 1958. Un'eternità. Allora l'unico già in vita, tra campo e panchina era proprio Ventura, che oggi vive un bruttissimo dejavù.

La colpa? Sua. Sì, sua e delle sue scelte. Non solo, è vero, ma in gran parte è così. Nel calderone la Figc, il sistema, Tavecchio e tutti gli altri, ognuno mette chi preferisce, chi ritiene opportuno, ma c'è un responsabile, uno più di tutti. E no, non è il solito processo all'italiana, alla ricerca di un colpevole, ma la definizione degli errori di chi l'Italia l'ha diretta. Male.

ERRORI - C'è confusione, e allora partiamo dal principio: il primo grande errore è lontano, molto più indietro, si chiama stage per tutti. Sperimentare va bene, è il modo migliore per trovare nuove soluzioni, ma nei pochi giorni annuali destinati al gruppo Italia si deve ricercare proprio questo: un gruppo. Gente affamata, unita, identificata con la maglia e il progetto, legata dagli intenti. Non è stato fatto, e se ne paga il prezzo. Ma tutto è stato tranquillo fino a Madrid, poi il buio, dopo un raggio di sole chiamato "rinnovo di contratto fino al 2020". Il 3-0 della Spagna porta con sè alibi, giustificazioni e proclami come: "Siamo dove volevamo". Semplicemente inaccettabile. Male con Israele, peggio con la Macedonia, a stento con l'Albania, fino a questa pausa. Poche idee, ma ben confuse. Le convocazioni sono del tutto casuali, le formazioni pure. Fuori Pellegrini, Giovinco, Balotelli, Caldara e tanti altri ancora, ma il problema non sono loro. Il problema è il 4-2-4, scelto in Spagna, ripudiato giustamente in seguito, a fronte di un 3-5-2 con diversi fuori ruolo. Il problema è la mancanza di idee. Va bene la BBC, vecchia certezza per la Svezia, ma non a Milano, a San Siro, sotto 1-0 nel punteggio complessivo. Jorginho bravo, ma non da ieri, eppure mai visto fino alla gara decisiva, giocata da titolare. Al suo fianco Florenzi, in un ruolo che alla Roma da tempo non ricopre più da molto. Davanti? Gabbiadini. Quel Manolo da 36' in tutta la gestione Ventura, con una sola gara da titolare in carriera in Nazionale. Fuori? INSIGNE. Il 10 scelto dell'Italia, il più tecnico, il più talentuoso. Fuori dagli 11 e incredibilmente anche dai cambi, che invece vedono un Belotti non al meglio per 30' al fianco di un'altra prima punta come Immobile, per un esperimento già fallito ogni dannata volta che è stato provato. Da non credere, nonostante anche De Rossi provi a spiegarglielo.

DIMISSIONI E SOLDI - Smettono in 3, probabilmente 4, ma sono quelli sbagliati. Gigi, il suo Chiello, il suo Barza, il suo Lele (De Rossi) - che in questo modo ha ringraziato con le lacrime agli occhi nell'immediato post partita -, non smette Ventura. O meglio, non ancora, forse. Lasciano quelli sbagliati, che hanno dato tutto, tre Campioni del Mondo e un gladiatore, che per tutto questo non trovano il loro lieto fine, nonostante l'amore, il sudore, la passione per questa maglia. Ventura no, lui non si dimette, si conferma in conferenza stampa, dopo più di un'ora dal termine della partita, del suo fallimento. "Dimissioni? Prima ne parlo, poi al massimo le comunico. Se ho voglia di continuare? Non mi sento di affrontare ora questo problema, dirò quello che ho passato e penso in un incontro, poi vedremo cosa fare". Poche ammissioni, qualche parola, nel giorno peggiore per l'Italia del pallone. Rimane e si tiene stretta la panchina e quel 1.840.000 euro di stipendio che la Federazione dovrà versargli fino al 2020.

Drammatico, drammatici, nel dramma del calcio italiano.