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Massimiliano Allegri nelle sue vesti di allenatore può piacere o non piacere. De gustibus, dicevano i latini. Sull’uomo, pensante e riflessivo, non vi possono essere incertezze. Da buon cittadino, comunque impegnato a partecipare lungo il percorso sociale e popolare, il tecnico livornese dimostra di conoscere perfettamente quelli che sono anche i lati oscuri e inquietanti del mondo che lo vede protagonista insieme con tutti gli altri personaggi del pallone. Dopo la prima gara giocata al San Paolo commentò in questo modo non la partita ma il contorno dell’evento dicendo che: “Vedere tutto quel dispiegamento di forze dell’ordine a difesa del nostro pullman diretto allo stadio e poi all’aeroporto è stato sconcertante. Una scena che mette tristezza”. Non soltanto “tristezza”, direi, ma molto di più. Autentica paura e non soltanto perché andava a mortificare il calcio e lo sport in generale.

Più o meno, come Allegri, una riflessione del genere penso l’abbiano fatta tutti quanti, appassionati e non. Il torpedone sul quale viaggiavano i giocatori e i dirigenti bianconeri procedeva anche ieri “blindato” da una scorta armata che neppure il Papa o il presidente degli Stati Uniti d’America hanno come supporto quando vanno in giro per le strade delle città. Parallelamente non soltanto lo stadio, in questo caso Napoli perchè la tendenza ormai è generalizzata in ogni parte del nostro Paese, ma interi quartieri erano stati blindati o in ogni caso presidiati da un numero di agenti di polizia e di carabinieri attrezzati per l’antiguerriglia che lasciava sbigottiti. Scene di normale follia che consente di paragonare la nostra Italia a certi Paesi sudamericani, sempre più rari però, nei quali tutto è possibile in quanto a tragedie assortite. In questo modo, comunque, il calcio è salvo, la partita pure e la gente può illudersi che vada tutto bene madama la marchesa.

Poi, come l’altra sera, nel buio della notte e nel quartiere di Fuorigrotta a gara terminata e poco lontano dalla Stadio nelle mani di un delinquente capo di una banda malavitosa in azione con lui spuntava un coltello (leggi qui). L’arma che serviva per colpire con ferocia un ragazzino di sedici anni che ora si trova ricoverato in condizioni gravissime seppure i medici stiano facendo di tutto per potergli salvare la vita. La “gang” lo ha sorpreso mentre, a fine partita, stava per salire sul suo motorino per tornare a casa. Uno scooter che doveva essere il bottino di giornata per quei balordi e per il quale era anche possibile ammazzare. Naturalmente sulla scena di questa rapina e tentato omicidio non c’era nessuno. Manco uno straccio di testimone, ma neppure un vigile urbano. Tutti quanti impegnati a controllare e a difendere il buon nome del calcio e l’incolumità del popolo tifoso. Per poi annunciare: “Visto che bel segno di civilta?”

Riportano le cronache dei colleghi i quali si occupano di “nera” che l’evento del quale è rimasto vittima il sedicenne napoletano non è un fatto episodico o isolato ma fa parte di una sequenza la quale rischia di diventare norma seriale. Bande di quattro o cinque delinquenti che approfittano dei grandi raduni specialmente calcistici per colpire non nel cuore del teatro ma negli immediati dintorni dove la vigilanza e l’opera di prevenzione è praticamente nulla. Il pallone, intanto, continua a rimbalzare in apparente serenità anche se, di fatto, è responsabile trasversale per la coltura di un brodo malavitoso che va dalla delinquenza comune alle attività di cosche mafiose. Il “male” è certamente sociale. Ma affrontarlo in questo modo è farisaico. La coperta dell’ordine pubblico è certamente corta, ma egualmente andrebbe distribuita con maggior buon senso e non solo per coprire l’evento più clamoroso. Volendo usare una metafora, insomma, non basta preoccuparsi del tappeto per dire quanto è bello se poi sotto di lui si permette un accumulo di orribile spazzatura.