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Il mese di aprile, evidentemente, possiede qualche cosa di speciale nel segno dell’ Ariete sotto il quale nascono bimbi destinati a diventare personaggi celebri e popolari. Da Marlon Brando a Jean Paul Belmondo, da Charlie Chaplin a Dario Fo, da Arrigo Sacchi a Mario Cipollini la lista  dei nati in aprile è impressionante per lunghezza.

Oggi compie settant’anni Nicoletta Strambelli, meglio conosciuta come Patty Pravo. Dopodomani toccherà a Marcello Lippi spegnere il medesimo numero di candeline sulla  tradizionale torta beneaugurante. La loro fama, nei rispettivi campi di azione professionale, è pari alla bravura che entrambi hanno dimostrato di possedere e di esercitare per guadagnarsi un posto di prestigio nella “hall of fame” internazionale. Due miti, insomma, per il mondo dell’arte e dello sport. Anche due juventini, forse per caso ma ora “irriducibili” dopo essere stati entrambi folgorati sulla “via per Damasco”.

A Nicoletta, ragazzina ribelle ma già tanto curiosa che marinava la scuola per passeggiare tra le calli di Venezia in compagnia di Ezra Pound, del calcio importava nulla salvo partecipare a partite di pallone in piazza con altri ragazzini per dimostrare di non essere una femminuccia da casa delle bambole. Un domenica dei primi Anni Sessanta volle accompagnare il babbo allo stato Sant’Elena dove il Venezia avrebbe giocato contro la Juventus. E fu colpo di fulmine.

Lo scrive e lo descrive lei stessa in prima persona sulle pagine di “La cambio io la vita che”, un libro autobiografico edito da Einaudi divertente e anche di ottimo spessore letterario. “Venni immediatamente colpita dal colore della maglie della Juventus. Bianconere come il mio modo di intendere la vita seguendo la filosofia del tutto o niente senza mezze misure. Ma la vera magia, quella che mi fece innamorare della squadra torinese, fu determinata dalla presenza in campo di Sivori. Un angelo che volava sul pelo dell’erba e che incantava con quel pallone che sembrava appena sfiorare. Io non ho avuto figli, ma se fosse accaduto il maschio lo avrei chiamato Omar”. Da quel giorno la giovane Nicoletta impose al padre di seguire la Juve anche in trasferta e si munì di campanacci che portava con sé anche il tribuna. Juventina per sempre.

Una “malattia” quella bianconera che contagiò Marcello Lippi in età più avanzata e per motivi squisitamente professionali prima di entrargli nel sangue e quindi regolare in tal senso il pulsare del suo cuore. Lui avrebbe voluto diventare cardiochirurgo, ma il calcio lo rapì fin da ragazzino portandolo a giocare nella “Stella Rossa” della sua Viareggio. Un orgoglio per suo padre, vecchio e autentico socialista, il quale quando il figlio venne ingaggiato dalla Sampdoria si fece promettere che lui non sarebbe mai andato a giocare in una squadra “dei padroni” e in particolare nella Juventus. Così nel 1993, quando Marcello era un mister i fase di lancio sulla panchina del Napoli e venne chiamato dalla società bianconera, il figlio sentì la necessità di recarsi sulla tomba del padre e chiedergli scusa se rompeva quel patto per ragioni puramente pratiche. E quello che sembrava dover essere un “calesse” si trasformò invece in autentico ed eterno amore.

Non è necessario nascere juventini. Lo si può diventare, all’improvviso e per sempre, come è accaduto a Nicoletta e a Marcello due “ragazzini rock” i quali entrano nel club dei 70 con gi auguri, anche nostri, dovuti agli amici.