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La notte tra il 23 e il 24 gennaio di quindici anni fa, Gianni Agnelli moriva nella sua residenza sulla collina torinese di Villa Frescot reso irriconoscibile dal cancro alla prostata che lo aveva prosciugato. Quarantotto ore dopo, il giorno dei funerali, seicentomila persone sfilarono ordinate e commosse davanti al feretro in cui era stato posto l’Avvocato. Praticamente più della metà dell’intera popolazione della città della quale lui era stato indiscutibilmente il re. Torino era come congelata e la sua gente smarrita. “Era consolante sentire il rumore dell’elicottero che lo portava in Fiat. Sapevamo che qualcuno si sarebbe occupato di noi. Ora non ascolteremo più quel suono che ci mancherà tanto”. Era questo il commento popolare espresso anche da uomini e donne con le tute blu e dai colletti bianchi della Grande Fabbrica. Il re era morto ma, questa volta, non era possibile gridare “viva il re” perché non esisteva. Non uno come quello che se ne era andato, almeno, lasciando dietro di sé una scia di “mi ricordo, eccome se mi ricordo….” Anche il coloro che non lo avevano mai visto da vicino.

Due giorni fa sulle reti di Sky si è iniziata la proiezione di un film davvero da non perdere per la sua qualità di documentario ma soprattutto per il modo, puntuale e realista, con il quale racconta a tutto tondo e in profondità ciò che c’è da sapere di “Agnelli” che è anche il titolo senza fronzoli e né ammiccamenti dell’opera. Ci sono voluti gli americani, il regista Nick Hooker e il produttore Graydon Carter per l’etichetta della HBO, per arrivare a realizzare un’operazione che nessuno in Italia aveva avuto il coraggio di portare a compimento anche per via di certi “paletti” non solo psicologici che la Famiglia piazzava ogni qual volta un qualche “indipendente coraggioso” confidava di voler tentare questa avventura cinematografica.

Un film di grande spessore e di notevole ardimento che, nel corso di un’ora e mezza, offre allo spettatore tutto ciò che è stato Gianni Agnelli dal giorno della sua nascita fino a quello del suo decesso. Nulla viene lasciato all’immaginazione e poco o nulla viene riservato al non dire per pudore o per servilismo. Fatti di cronaca, incontestabili, e analisi del personaggio passano attraverso la voce e il volto di tutti coloro i quali ebbero aver a che fare con l’Avvocato sia a livello pubblico che privato. Da Gabetti a Kissinger, dai Furstemberg a Diego Novelli, da Rattazzi a De Benedetti, ma anche dal suo cuoco al custode di Villar Perosa. Unica voce degli Agnelli autentici, insieme con quelle degli Elkann, quella della sorella Maria Sole che rivela e svela virtù e difetti di un fratello tanto eccezionale da essere particolare nel bene come nel male.

Inventore della vanità come “alloure”, consumatore persino eccessivo di cocaina al tempo della dolce vita, amante spericolato e senza freni secondo il quale le signore andavano trattate come puttane e le puttane come signore, appassionato dell’arte ed egli stesso artista, ironico e intelligente ma soprattutto curioso, nemico della noia che lo spingeva a pranzare a Parigi per poi cenare a Londra e tornare a Torino per dormire, imprenditore a suo modo illuminato, estremo in ogni sua azione come buttarsi in mare dall’elicottero o percorrere a centocinquanta all’ora le strade di Nizza bruciando i semafori rossi o ricevere chiunque sulla sua barca completamente nudo, viscerale nella sua passione per la Juventus e per la sua Torino alla quale regalò le Olimpiadi, trasgressivo come quando a un presidente della repubblica italiana per colazione fece portare i coglioni di toro al burro (peraltro squisiti) perché “A un coglione occorre darne almeno due”, come unico e autentico amico il vento “perché è l’unica cosa che non si può comprare”.

Padre assente. Sia per Margherita la quale un giorno si presentò con la testa rasata a zero e gli disse “così per una volta ti accorgi di me”. Soprattutto per Edoardo il quale, troppo sensibile per un padre che in quanto a sensibilità stava a zero, trovò nella disperazione il coraggio di uccidersi. Fu in quel momento che Gianni Agnelli, forse per la prima volta nella sua vita, cominciò a fare i conti con il suo “io” più nascosto e, dopo averlo incontrato, si fece da parte, cadde in depressione e si ammalò sino a morire. Il sigillo emblematico è di Lapo: “Un uomo eccezionale, un nonno fantastico ma non lo avrei mai voluto come padre”. Buona visione a tutti. Ne vale davvero la pena.