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Andrea Agnelli presidente dell'Eca, Beppe Marotta presidente dell'Adise e vicepresidente del consiglio direttivo del settore tecnico Figc. I massimi dirigenti bianconeri, dopo aver fatto grande la Juve – parallelamente – sempre più proveranno ad entrare nel cuore della politica calcistica. In Italia, in particolare, ce n'è un gran bisogno. Per certi versi e sotto diversi aspetti, la Juve nell'era Agnelli-Marotta-Paratici si è rivelato un club dominante perché anche pionieristico nella cura di un lavoro che potesse avere il campo come fine e mezzo allo stesso tempo, portando avanti un progetto che potesse andare ben oltre e seguendo un percorso di crescita che definire a 360 gradi è perfin riduttivo. Lo stadio di proprietà ha fatto scuola, lo sviluppo del brand, il progetto delle academy su tre livelli (territorio locale, italiano e poi internazionale), la rete di club satellite in giro per il mondo sono solo alcune delle idee vincenti che hanno accompagnato la Juve nello sfondare il muro dei 500 milioni di fatturato unite ovviamente alla crescita della squadra in termini di risultati ottenuti e valore dei giocatori anche economico. Ma il treno dei top club, viaggia veloce e non permette ritardi o passi falsi. La Juve come caso isolato in un movimento come quello italiano, però, rimane limitata o zavorrata nel proprio sviluppo.

 

LE RIFORME – Spunto di riflessione dopo spunto di riflessione, è bene dunque che il sistema italiano sappia seguire le proposte di un dirigente illuminato come Beppe Marotta. Fatta la Juve, e che Juve, ora va rifatto o quantomeno aggiustato il calcio italiano. Particolarmente attivo in prima linea è ora Marotta ad esempio per il rilancio del calcio femminile. Sempre più coinvolte le squadre di serie A, dalla base i numeri stanno dando ragione a questa decisione ma servono rapidi e ulteriori passi in avanti per consentire ai grandi club di operare come sperato: coinvolgendo i club professionistici, la gestione della sezione femminile con i parametri dei Dilettanti è una contraddizione in termini, il tetto di ingaggi impedisce un confronto anche solo potenziale con le altre realtà europee. Da tempo Marotta parla della necessità di ridurre la finestra di calciomercato, spalleggiato da tutti in casa Juve fino allo stesso Allegri, la mossa della Premier non a caso è stata accolta con grande sollievo nella speranza che possa essere un volano per agevolare questa novità almeno tra tutte le Leghe principali a livello europeo. E poi le seconde squadre, una falla nel movimento italiano che rallenta sotto ogni punto di vista la crescita dei giovani e “droga” eccessivamente la loro gestione con una rete spesso infinita e infruttuosa di prestiti altrove: da Agnelli a Marotta, sono anni che dalla Juve partono input per poter creare un contesto virtuoso in tal senso. Un anno fa sembrava che la scossa potesse arrivare a buon fine, nonostante una prima ipotesi che non permettesse alle seconde squadre di andare oltre alla Lega Pro: il sistema spagnolo con la possibilità di avere una squadra riserve fino a una categoria inferiore della prima sarebbe l'ideale ed un modello facilmente perseguibile, un problema quello dello sviluppo del progetto che non si è più nemmeno posto essendo tramontato prima ancora di nascere. Il movimento calcio in Italia è malato, malatissimo. Lasciare da parte invidie e chissà quali retropensieri sarebbe necessario, anzi vitale. Il calcio italiano ha bisogno di un riformista vero, illuminato: Marotta sarebbe, è, l'uomo giusto. Perché non seguirlo?