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Faccio pubblica ammenda. L’analisi che avevo fatto, nei giorni scorsi, su Paulo Dybala e il suo essere “scollegato” con l’attuale realtà agonistica della Juventus non era corretta. Perlomeno, forse, soltanto in parte e comunque non imputabile a quella che avevo giudicato una miopia Massimiliano Allegri . Chiedere scusa è normale oltreché giusto.

Ieri a Udine il campione argentino ha lasciato intendere che il suo momento di impasse non è dovuto all’impiego tatticamente sbagliato dell’allenatore ma, semmai, ad uno stato di amnesia psicologica che, ci si augura, possa scomparire in fretta a vantaggio suo e della Juventus la quale ha assoluta  necessità di ritrovare il suo Genio della Lampada per tenere testa al Napoli e anche all’Inter.

La prova provata di questo status mentale negativo di Dybala è stata data, pubblicamente dalle telecamere televisive, nel momento appena successivo alla sostituzione del numero 10 bianconero con il compagno di squadra Douglas Costa. Il labiale di Dybala non ha avuto necessità di interpretazione e gli insulti che lui ha rivolto ad Allegri sono stati mostrati in diretta.
Comprensibile lo stato d’animo di un giocatore, peraltro dichiarato da tutti come indispensabile, che si vede privato della sua identità di campione. Non giustificabile e tantomeno accettabile, però. A differenza, per esempio, dello storico “vaffa” urlato da Tevez contro lo stesso Allegri dopo il suo avvicendamento Dybala non aveva alcun diritto di prendersela con il tecnico il quale aveva deciso di metterlo da parte non già per ragioni di opportunità tattica ma perché il suo giocatore più importante in quel momento era avulso dalla partita. Insomma Allegri, in questo caso, aveva tutte le ragioni e soprattutto il dovere di agire in quel modo.

Così come Dybala avrebbe avuto il dovere, professionale ed etico, di tacere e di accettare la decisione con serenità oltreché di sedersi in panchina e meditare su se stesso e sulla sua prestazione negativa. I campioni fanno così anche quando sono costretti a subire un’esclusione dal gioco che, fatalmente, porta a farli sentire depressi. Non solo. Il professionista serio, a quel punto, evita accuratamente di cadere della trappola (comoda) della schizofrenia che lo porta ad accusare gli altri per le proprie manchevolezze. Sicchè, un minimo di autocritica e di esame di coscienza sarebbe indispensabile.

Che Dybala stia vivendo un momento critico della stagione è ormai acclarato. Spetta a lui, semmai con l’aiuto di un supporto esterno, scoprire le ragioni di questo improvviso impasse il quale, quasi sicuramente, è dovuto a questioni di carattere intimo e personale. Fidanzamenti che vanno e vengono. Lo sponsor di riferimento, la Puma, che lo ricusa. La sostituzione del suo procuratore con il clan di famiglia che non sempre porta vantaggi perché il dato emozionale può causare confusione. Il continuo confronto con Messi in una nazionale che lo impiega con il contagocce. Il peso di una maglia, quella numero 10, da dover onorare anche con le gambe un po’ molli e con la testa tra le nuvole. Non è poco. Ma proprio per questo Dybala deve darsi una bella calmata.