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Dieci anni fa moriva Luciano Pavarotti, uno fra i dieci protagonisti mondiali per il melodramma della Storia. Un’assenza che da quel giorno dell’addio, continua a pesare non solo per gli appassionati di musica o per i melomani. Big Luciano fu certamente “la voce” ma anche tante altre cose alcune delle quali, come le opere di bene e l’attiva solidarietà sociale, sopravvivono alla sua imponente figura di gigante buono con dentro il petto un cuore altrettanto grande. L’omaggio che il mondo intero gli attribuirà è quanto mai doveroso.

Un uomo passionale e appassionato il quale non temeva di lasciarsi sedurre da tutto ciò che di bello e di buono è in grado di offrire la vita. Un gaudente in senso ampio e onesto che, in ogni caso, amava condividere con il resto dell’umanità i suoi piaceri. Uno fra i grandi amori dichiarati con entusiasmo da Pavarotti era il gioco del calcio che per lui si coniugava con la Juventus. E proprio la società bianconera e la squadra dovrebbero doverosamente rammentarlo in queste ore. Intanto per la fede mostrata dal tenore alla bandiera, poi perché la vigilia della sfida con il Barcellona idealmente replicherebbe la sceneggiata degli amabili sfottò tra lui e il suo amico e collega catalano Josè Carreras e infine perché la stessa Juventus (i suoi giocatori di un certo periodo storico) non si comportarono bene con lui. Un piccolo “tradimento” che intristì un poco Pavarotti senza per questi che il suo attaccamento per i colori bianconeri venisse scalfito.

Era il 1996, un anno storicamente nevralgico per il mondo della lirica. Cento anni prima, diretta dal maestro Arturo Toscanini, era andata in scena la prima de “La Boheme” di Giacomo Puccini. Per celebrare un evento così importante lo stesso Pavarotti si era impegnato per un allestimento della stessa opera nel teatro Regio di Torino. Lui, nei panni di Cavaradossi, e la Mirella Freni, in quelli di Mimì, richiamarono l’attenzione di tutto il mondo. Da ovunque arrivarono giornalisti e televisioni per una serata magica che sarebbe stata vista in diretta dai telespettatori di tutto il pianeta.

Big Luciano aveva personalmente istruito la produzione per fare in modo che una delle file di sottopalco del Regio venisse riservata a dirigenti e giocatori della sua Juventus i quali, vivendo a Torino, non avrebbero dovuto faticare per venire ad ascoltare e ad applaudire chi spesso attraversava l’Oceano per fare altrettanto con loro allo Stadio delle Alpi. Pur trattandosi di una tra le opere più “semplici” e musicalmente moderne di ogni epoca i ragazzi di Lippi, l’allenatore di quel tempo, declinarono il prestigioso invito. Bizzarra ancorchè sincera fu, addirittura, la motivazione addotta dal “soldatino” Di Livio il quale disse che lui amava Renato Zero e che il melodramma lo faceva dormire. Soltanto il centravanti Padovano si presentò puntualmente in platea accompagnato da sua moglie. Per la verità anche Luca Vialli partecipò alla serata voluta dal suo amico Pavarotti arrivando da Londra perché ormai giocava nel Chelsea.

Un piccolo sgarbo, sintomo non tanto di ignoranza musicale quanto di “bon ton”, che la società Juventus dovrebbe rammentare e provvedere con un ricordo ufficiale proprio in queste ore anche se è impossibile porvi rimedio a livello, come dire, visibile. Ma siccome gli spiriti non dimenticano Pavarotti, da qualche angolo dell’infinito, sarebbe sicuramente felice oltreché orgoglioso della sua Juve.