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Definire il campionato Primavera globalizzato è un eufemismo. Ormai gli organici delle squadre (soprattutto quelle di vertice che puntano molto sul settore giovanile) sono costituiti per oltre metà da giocatori stranieri. L'apertura al mondo delle giovanili nostrane è in parte positivo perché si valorizzano prodotti di pianeti pallonari fino a qualche anno fa inesplorati e  costretti a rimanere ai margini del calcio che conta. Dall'altro però il proliferare dell'arrivo di ragazzi non italiani fa sorgere il dubbio che molti di questi non siano in grado di vestire i panni dei "saranno famosi".

Al Torneo di Viareggio, ci piace chiamarlo così più che nella dizione attuale di Viareggio Cup, il cammino della Juventus ci fa capire come sia in atto questo mutamento. Chi scrive queste righe raccontò nel 1994 con grande piacere il trionfo bianconero della squadra di Antonello Cuccureddu che aveva come stella un certo Alessandro Del Piero, capace l'anno prima praticamente da solo di portare il Padova tra le prime quattro nella manifestazione viareggina. Alex era la stella inarrivabile di una squadra che aveva buoni giocatori ma non  certo dei campioni. C'è chi come Binotto, Baldini, Cammarata, lo stesso Dal Canto che guarda caso da poche settimane è allenatore proprio della Primavera, alla serie A ci sono arrivati in bianconero o facendo la trafila in altre società. Il resto di è diviso tra serie B e C.
 
In quella squadra non c'erano stranieri: l'unico tocco 'esotico' era dato da Christian Manfredini Sisostri, italianissimo ma di colore che poi si è consacrato con Lazio e Chievo. Quella Juve "delpierana" sfatò un tabù a Viareggio che durava dal 1968. Poi ad inzio anni 2000 c'è stato il ciclo tecnico di Gasperini e Chiarenza. E dalla nidiata costruita sin dalla Scuola calcio (Marchisio, Giovinco,  De Ceglie) si è pian piano passati ad innesti internazionali. Qualcuno particolarmente azzeccato (vedi Kouko e Masiello anche loro arrivati in serie A con altre maglie) altri meno. Un esempio per tutti: Viktor Boudianski, il centrocampista settepolmoni ucraino era nelle movenze e nel fisico il nuovo Nedved che però non ha mantenuto le promesse ed è sparito nell'anonimato come Zeytulaev, Gladstone, fino ad arrivare all'argentino Vadalà, una meteora catapultata a Torino con tanti proclami nell'affare Tevez e ora tornato in Sudamerica. 
 
Una Juve sostanzialmente autarchica con altre gestioni tecniche come Bruni e Baroni ha vinto il Viareggio ma soprattutto aveva un'anima tricolore che significa avere lo spirito giusto, coltivato dall'attaccamento alla maglia che si costruisce nel tempo. Dalle prime esperienze tra i Pulcini fino alla Primavera. Claudio Marchisio è la dimostrazione lampante. Si dirà che Moise Kean è un esempio virtuoso ma al contrario. Un simbolo dell'integrazione che sta arrivando, lo speriamo tutti, ad alto livello. Il nostro ragionamento non è solo nostalgico. Puntando più sugli italiani sia la Juventus che le altre società di serie A faranno magari meno felici tanti procuratori, ma costruiranno qualcosa di importante non solo per i loro colori ma anche per l'intero movimento calcistico nazionale.