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Barone, Maestro e molto altro ancora. Franco Causio si racconta in un'intervista al Corriere dello Sport. Eccone alcuni passaggi: "Chi mi scoprì? Luciano Moggi. Lui era il responsabile del settore giovanile della Juve per il Lazio e le Marche. Quell’anno feci tanti provini: Bologna, Inter, Fiorentina, Torino. A Torino conobbi il ct futuro campione del mondo, Enzo Bearzot, che era il secondo di Nereo Rocco. Sono stato in corso Vittorio nel convitto del Torino quasi un mese. Con la maglia granata mi allenavo al vecchio Filadelfia, dove c’era la foto del Grande Torino. Sono stato lì, ho fatto due amichevoli, ma non mi presero. Enzo Bearzot , molti anni dopo, mi fece vedere le sue relazioni, che erano tutte positive. Solo che Rocco disse “Causio non ha fisico. Gioca bene tatticamente, ma non ha fisico”...".
  
"L'impatto con la Juve ed Herrera? Durante il provino con la Juve dopo un quarto d’ora venne una persona e mi disse “Basta, vai a farti una doccia”. C’era a bordo campo l’allenatore Eliani e io gli chiesi: “Ho fatto qualcosa di sbagliato ?” e lui: “No, hai fatto fin troppo bene”. Poi vennero a vedermi la domenica successiva durante Sambenedettese-Bari, feci una grande partita e da lì presi la via per Torino. A Torino c’era Heriberto Herrera e io già allora facevo la preparazione con la prima squadra. A Villar Perosa mi misero con due mostri sacri, il capitano Castano e il vice Leoncini. Mi tremavano le gambe. Ero un ragazzino di sedici anni, venivo dalla Sambenedettese, dal Lecce. E invece ho trovato delle persone eccezionali; Castano e Leo mi hanno aiutato, in tutto e per tutto. Ho trovato un ambiente favoloso. Mi sono allenato con loro. Io pensavo di essere già arrivato, mi sentivo un fenomeno alla Juventus, a sedici anni. Finito il ritiro di Villar Perosa, mi dissero invece vai in convitto a via Susa, alle giovanili. Mi è crollato il mondo addosso, continuavo ad allenarmi anche con la prima squadra ma giocavo nella Primavera. Poi ho fatto due anni in questo convitto di via Susa e non ho un buon ricordo perché c’era un prete, c’erano i professori, c’era da studiare e non mi andava tanto. Dopo due anni ho esordito a Mantova e l’anno dopo mi mandarono a farmi le ossa a Reggio Calabria in serie B con un altro grande allenatore, Armando Segato".

"L'allenatore più importante? Ho imparato molto da Segato. Quando eravamo a Reggio Calabria il lunedì mi convocava e mi faceva fare sedute di tecnica individuale: metteva i paletti, facevo dribbling, tiri in porta, cross. Mi ha insegnato tanto. Anche Di Bella a Palermo, ho avuto grandi maestri. Poi quando sono tornato a Torino c’era Armando Picchi. Lui per me stravedeva. Ricordo la prima volta che mi ha parlato. Eravamo a Villar Perosa, partitina tra noi. Capitan Furino ed io ci siamo beccati per un contrasto a centro campo. Picchi arrivò a separarci e mi disse: “Hai carattere, ragazzo”. E’ stato lui che mi ha fatto rimanere. In società mi volevano cedere di nuovo, al mercato autunnale. D’altra parte avevo davanti Haller, un vero genio e poi c’erano Capello, Marchetti. Ma Picchi non voleva che andassi via. Allora mi mise in panchina durante la partita Juventus-Milan. A dieci minuti dalla fine mi disse: “Maestro, vai in campo, che da oggi non esci più”. Così, per regolamento, non potevano più cedermi. La domenica dopo lui mi mise in campo da mezz’ala. Cambiò un po’ tutta la strategia della formazione: Haller, Causio, Anastasi, Capello, Bettega. Il giorno dopo, quando ci siamo visti al ristorante a Torino, gli dissi “Mister, lei mi ha chiamato maestro, ma io non sono ancora nessuno”. Mi rispose: “Stai tranquillo, io ho chiamato maestro solo un altro giocatore, all’inizio della carriera. Si chiamava Mariolino Corso”. Mi dispiace che Picchi non abbia potuto vedere quello che ho fatto durante la mia carriera, perché ci ha lasciato".

"La Juve più forte? Io credo che non ci siano Juve più forti, ci sono i cicli. La Juve più forte è stata quella tutta italiana, quando abbiamo vinto la Coppa Uefa, abbiamo vinto il campionato. La squadra di tutti italiani. Purtroppo adesso sono tutti stranieri, c’è una bella differenza". 

"Il ruolo nel calcio moderno? No, non c’è più. Era anche quello di Bruno Conti, di Claudio Sala, di Donadoni. Una volta c’era l’ala tornante e il terzino fluidificante, come Facchetti o Cabrini. Adesso è cambiato il modulo, ci sono gli esterni alti e quelli bassi. Non c’è più il regista: Capello, Pecci, Pirlo. Una volta giocavi a uomo, era più difficile. Se io, Bruno, Claudio, o Maradona, Platini, Falcao avessimo giocato a zona, sarebbe stata una pacchia. Senza marcature asfissianti, per gente tecnica come noi, sarebbe stato bellissimo poter giocare".

"Ora meno tecnica? Assolutamente sì. Molta più fisicità e molta meno tecnica. Ora la preparazione fisica è personalizzata, controlli digitali, gps per verificare le perfomances… Nulla di questo esisteva, ai nostri tempi. Con la tecnica che avevamo se ci fossero stati questi accorgimenti… Però anche fisicamente non eravamo male. Bruno, io e anche Claudio ci facevamo tutta la fascia e ce la facevamo tante volte. Negli uno contro uno non eravamo male, come nel possesso palla, ed eravamo capaci sia nella fase difensiva che in quella offensiva". 

"Chi mi piace? Uno è Cuadrado, purtroppo adesso si è fatto male. Douglas Costa è forte, Bernardeschi potrebbe essere un giocatore che può fare la fascia. Non ne vedo altri sinceramente. Mi aspettavo Berardi del Sassuolo, però si è perso per strada".