commenta
C’era una volta il “Cul di Sacchi”. Sul tema Giancarlo Padovan scrisse anche un gustoso “saggio” che ebbe un certo successo editoriale. Il teorema faceva capo al tecnico romagnolo e alla sua abilità professionale che gli servì per trasformare il Milan in una sorta di armata invincibile in Italia e il Europa. La base di quella riflessione, un poco ardita ma neppure troppo, si trovava nella convinzione perlopiù generale che riteneva l’Arrigo un allenatore certamente dotato di idee innovative ma, nello stesso tempo, fornito in abbondanza di quel tesoro che meno volgarmente si chiama fortuna.

Una stella amica che lo seguiva nel suo percorso e che ispirava le sue scelte tecnico-tattiche supportata a meraviglia da campioni di assoluto livello internazionale, da Gullit e Rjikaard e da Van Basten a Donadoni per non dover dire di Maldini e Baresi, i quali non avrebbero certamente avuto necessità del “cul di Sacchi” per dare un senso compiuto di assoluta grandeur al  loro mestiere di fuoriclasse. Poteva comunque accadere che talvolta anche quei “fenomeni” entrassero in stand by e che il Milan dovesse faticare più del lecito. Ecco intervenire allora lo stellone di Sacchi il quale, anche con l’aiuto  esoterico del suo amico e professore di Fusignano il quale sapeva leggere “oltre”, rimetteva il treno rossonero sui binari giusti. Poi Sacchi lasciò il Milan, il professore morì di vecchiaia e la stella amica prese un’altra direzione. Sacchi divenne uno come tanti.

Ora, a occhio, si potrebbe anche dire che la buona sorte si è trasferita a Torino e che la luce della stella illumina la panchina di Massimiliano Allegri. Ieri, per esempio, il successo ottenuto dalla Juventus sul Milan di Gattuso che “ai punti” pugilistici non avrebbe meritato il kappaò potrebbe spingere a immaginare che il teorema del “Cul” abbia trovato un nuovo titolare nella figura del tecnico livornese. Non è così. A parte il fatto che tra il Milan stellare dell’Arrigo e la Juventus di Max il paragone è improponibile a favore del primo, va preso atto che l’abilità mostrata da Allegri non è frutto di vibrazioni e influssi positivi in arrivo da un’altra  dimensione paranormale ma di una sapiente opera di restauro continuo a “lavori in corso” senza la preoccupazione (quindi senza la presunzione di non voler mettersi in gioco) di negare persino le scelte di partenza. La performance inattesa di Cuadrado è esempio lampante. Ciò significa essere realisti, pragmatici e privi di paranoie superman.  Allegri non evoca forze magiche e, al massimo, consulta il suo ottimo vice Landucci. In una parola: intelligenza. E lo scudetto si vince con la testa oltreché con il cuore.