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Oggi è il giorno in cui la tradizione si fa spazio nell'estate fatta di tournée in giro per il globo acchiappa sponsor e acchiappa tifosi. Oggi è il giorno di Villar Perosa e per i tifosi della Juventus non può essere un giorno come gli altri. Partitella in famiglia dal sapore speciale. Con gli anni, però, le cose sono inevitabilmente cambiate. E poi, perché Villar ha questo fascino intrinseco praticamente unico nel panorama calcistico nostrano? Per capire questo e conoscere a fondo cos'era e cos'è Villar abbiamo sentito il nostro direttore, Marco Bernardini, che ha vissuto il clima unico di questo evento tante volte nel corso degli anni.

Cos'era Villar Perosa? Che aria si respirava?
Fino agli anni '80 e anche nei primi anni '90, Villar Perosa è stata la festa del popolo bianconero per antonomasia. Una happening che durava tre settimane, dal giorno in cui i giocatori della Juventus si trovavano in ritiro nell'hotel, che tra l'altro era di proprietà del presidente dell'Inter Pellegrini, e trascorrevano 20 giorni lavorando, soprattutto gli anni con Trapattoni e Romolo Bizzotto, nei monti e allenandosi all'aria piemontese. La cosa da sottolineare è che restavano 24 ore su 24, per tre settimane, sempre insieme. Il tempo libero veniva dedicato alla conoscenza reciproca e ai rapporti interpersonali, non turbati dai social come accade oggi. E così nasceva il cuore vero, l'anima della Juventus, che poi si concretizzava sul campo. Non che si vincesse tutti gli anni, ovviamente, ma la squadra nasceva lì. La Juve, poi, era il motore dell'economia di una Val Chisone sempre stata quartier generale della famiglia Agnelli. La Juve stimolava l'economia di un'intera valle e in particolare di un paese come Villar. poi con l'abbandono della Juve e la chiusura dell'SFK,  è tornata a essere com'era prima dell'arrivo degli Agnelli, cioè una terra che fa semplicemente da ponte tra Torino e il ricco Sestriere. 

Com'è cambiato? Cos'è, invece, Villar Perosa oggi?
Oggi l'impressione che questo appuntamento appena dopo Ferragosto si sia trasformato quasi in un obbligo, in atto dovuto più che sentito da parte degli eredi degli Agnelli che riposano nella cappella di famiglia del cimitero di Villar. E anche per il popolo juventino sembra quasi un momento in cui ci si sente in dovere di muoversi per rendere omaggio alla squadra. Io penso che la Juve abbia sbagliato, senza ricadere in un discorso malinconico e nostalgico. Il passato serve per istruire il futuro e la Juventus ha dovuto accettare questa regola del calcio business esasperata ai massimi livelli e nel mese di luglio gira il mondo solo per una questione economica e non certo per motivi legati alla preparazione, rendendo anche più difficile creare quell'anima che si creava a Villar fino ai tempi di Del Piero. Poi si è creata questa abitudine di girare il mondo e mettersi in mostra, prendendo anche in giro gli spettatori. Vince il denaro e anziché prepararsi seriamente sulle nostre bellissime montagne, giocando poi contro squadre della nostra zona, per sponsor e affini si gioca altrove.

Ci hai fatto una fotografia di passato e presente. Ora ci racconti la tua Villar?
Io di Villar Perosa ho un ricordo fiabesco. Un anno mi ruppi un braccio mentre ero in ferie e dovendo tornare a lavorare venni inviato a Villar Perosa, dove c'era Luciano De Maria, fisioterapista e massaggiatore ufficiale della Juve, io feci praticamente il ritiro accanto alla squadra. Mangiavo con loro, in un tavolino a parte, vedevo tutto, è stata un'esperienza unica. Ricordo una volta quando venne la signora Trapattoni a trovare Giovanni e Marocchino, per fare uno scherzo al mister, fece un gavettone che per errore colpì la moglie. Il Trap corse subito in camera di Marocchino, ordinandogli di far vedere le mani, ovviamente bagnate. C'era davvero un bel clima, disteso, a tratti goliardico, ma sempre professionale. Ricordo poi che anche il mercato si svolgeva lì. C'erano Boniperti e Giuliano e poi le persone uscivano con tutte le facce e le espressioni del mondo. 

A livello professionale c'è un ricordo a cui sei particolarmente affezionato a possa far capire  come andavano le cose?
Devo rievocare per forza uno dei più grandi scoope della mia carriera. Il primo fu l'intervista fatta ad Allende due giorni prima che venisse assassinato dagli sgherri di Pinochet ad Algeri, il secondo fu quello che realizzai proprio a Villar Perosa, l'estate successiva alla tragedia dell'Heysel. Edoardo Agnelli mi convocò alla villa e io, come un ladro, venni accompagnato da quello che poi seppi essere l'autista di Agnelli. Conobbi Edoardo proprio il giorno della tragedia dell'Heysel, in lacrime sui gradini del sottopassaggio degli spogliatoi. Lui era appena tornato dagli Stati Uniti e mi rivelò il motivo per cui era rientrato: voleva prendere in mano la Juve. Realizzai per Tuttosport un servizio di due pagine, con titolo di nove colonne. Successe un gran casino, con Boniperti e l'Avvocato, con tanto di convocazione da parte dell'avvocato Chiusano. Volevano smentissimi l'intervista, ma Edoardo chiamò e confermò tutto. Poi tutto quello che è successo dopo è storia, e noi diventammo molto amici e alla fine scrissi anche il libro Edoardo senza corona e senza scorta, che credo sia uno dei libri più belli che abbia mai scritto. L'ho scritto sotto sua dettatura, anche se lui non c'era più.

Quando iniziava la festa? Cosa dava il via?
Sono cambiate tante cose. Passavamo il tempo tra colleghi, poi si sentivano le pale di un elicottero e sapevamo che sarebbe atterrato accanto al campo dove si sarebbe tenuta la partita. Dall'elicottero, ogni volta, scendeva l'Avvocato Agnelli con tutta la sua corte e quello era il segnali che la festa poteva cominciare. L'Avvocato si accomodava sulla panchina e tutto inziava. Villar Perosa trasmetteva vibrazioni bianconere che arrivavano da quella villa e che ora dovrebbero arrivare da quella cappella in cui riposano tutti gli Agnelli, eccezion fatta per l'ultimo, Andrea, che è proprio alla guida della Juve. Andrea, però, non è mai stato un grande frequentatore della villa. Lo sono stati più i cugini, che andavano a trovare il nonno. Ma quell'attaccamento che aveva l'Avvocato, il più grande innamorato della Juventus, non c'è più.

Che giornata ti aspetti oggi?
Oggi il popolo bianconero sicuramente arriverà a frotte per vedere questa esibizione. Io non so se ci sarà Matuidi, ma cambia poco. È una giornata singola, un'esibizione moderna. Prima era diverso, la gente veniva per le vacanze, vedeva gli allenamenti da vicino, parlava coi giocatori. C'era un rapporto con la gente. Adesso possono vederli attraverso le transenne, nemmeno i giornalisti possono parlare con i tesserati, mentre ora venogno blindati. Noi parlavamo mezz'ora con l'Avvocato Agnelli... Era una vera gioia, oggi è tutto più asettico come lo è questo calcio, sempre più mosso dal denaro.

Sarai a Villar Perosa?
No, per me è meglio immaginarla da lontano, ricordare com'era. Anche perché non potendo nemmeno parlare con Agnelli, o i giocatori o Allegri, perde chiaramente fascino ed emozione. La penso da lontano, ricordando le emozioni che mi dava e immaginando la Juve in campo contro il Cagliari sabato. A Villar Perosa tornerò per mettere un fiore sulla tomba di Edoardo, nel silenzio.

Che Juve ti aspetti quest'anno?
Vedo una stagione un po' problematica, devo dire la verità. Scrissi già a fine stagione che Allegri avrebbe fatto bene a cambiare aria, perché più di così non avrebbe potuto vincere. Ricordo benissimo che Gianni Agnelli espresse un desiderio: "La mia più grande gioia sarebbe quella di poter vedere la Juve che batte il suo record e quello del Grande Torino vincendo sei titoli di fila". Allegri, con Conte, l'ha reso possibile. È accaduto, anche se l'Avvocato non c'era più. Mi ha fatto effetto. Non penso non vinca con il Cagliari, ma chiaramente la solidità difensiva non è sembrata la solita. Su Matuidi, non è il profilo che mi aspettavo, ma è quello che offre il mercato. Non ci sono più i mecenati, quindi bisogna muoversi da azienda.