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Gentile presidente Andrea Agnelli, nel Giorno della Leggenda, mi piace rivolgermi direttamente a lei in primo luogo come responsabile di questo quotidiano, ilBiancoNero.com che, nel suo piccolo, ha sostenuto il Sogno del record juventino al quale ora manca soltanto la tessera della Champions per potersi dichiarare davvero unico. In seconda battuta ritengo opportuno scriverle queste brevi annotazioni perché lei possa riflettere su alcuni eventi, in apparenza minimalisti, che hanno caratterizzato questa memorabile stagione calcistica colorata di bianconero.

Posso ben immaginare che anche lei, esattamente come ciascun tifoso juventino, questa mattina abbia aperto gli occhi al nuovo giorno con dentro l’anima e addosso alla pelle un sottile senso di piacevole euforia la quale, prima di uscire completamente dalla nebbia del sonno, l’ha spinta a porsi una domanda: sarà tutto vero? Certo che lo è. Prima la Coppa Italia, poi il sesto scudetto di fila e ora la consapevolezza che la Champions non è un pianeta proibito. Toccando ferro, naturalmente, o ciò che le più preferisce. Al proposito voglio ricordarle che Cardiff è la città dalla quale il suo babbo Umberto sdoganò il grande John Charles per rendere insieme con Omar Sivori la Juventus più preziosa e vincente. In Higuain e Dybala vedo una copia conforme. Sopra lo stadio gallese, affacciato dalle nuvole, ci sarà anche il Gigante Buono perché gli spiriti non dimenticano.

Tornando al capolavoro che lei ha firmato, insieme con i suoi preziosi collaboratori Marotta e Paratici e Nedved, è impossibile dimenticare che come l‘Araba Fenice ha ripreso a volare dalle ceneri ancora accese di un devastate rogo epocale. Lei, diciamolo con franchezza, era poco più di un ragazzo quando ebbi modo di vederla arrivare a Villar Perosa per quello che sarebbe stato il suo battesimo professionale. Timido e imbarazzato. Dubbi e incertezze le facevano da aura mentre non poche erano le vibrazioni di diffidenza che le arrivavano addosso dall’esterno. Gli scettici, in quel momento, stavano ignorando un dato fondamentale della Storia. La Juventus, quel giorno, tornava ad essere guidata e gestita in prima persona da un Agnelli che, mai e poi mai, avrebbe delegato. Mi perdoni, spero non se ne abbia a male. In quell’istante pensai, con molta amarezza e rabbia verso il destino, che al posto suo avrebbe potuto (non dico dovuto) esserci suo cugino Edoardo così come suo fratello Giovanni Alberto avrebbe dovuto (non dico potuto) essere a capo dell’intero impero. Ma, lei bene lo sa essendo vissuto per molto tempo a Londra, come sosteneva Shakespeare contro le stelle nemiche vi è nulla da fare. In ogni caso l’importante è che la Juventus sia tornata ad essere il gioiello di famiglia tanto amato e preservato da suo zio Gianni e da suo padre Umberto. I risultati di questo settennato sono la dimostrazione che il “made in Italy” se ben gestito non necessità di interventi orientali o di interferenze arabe.

Carissimo presidente, ho voluto tenere per ultimo un argomento che ritengo rivesta un’importanza nevralgica per il presente e per il futuro bianconero. Mi riferisco a quelle che nel cinema vengono ingaggiate come “comparse” ma che grandi registi Come Vittorio De Sica e Pier Paolo Pasolini trasformavano in protagonisti senza modificarne il ruolo. I famosi “attori” da strada. Sto parlando del popolo della Juventus e, più specificatamente, di tutti coloro i quali mediamente ogni quindici giorni e incuranti di qualsivoglia condizione atmosferica si ritrovano puntuali all’interno di quello Stadium il quale, da lei fortemente voluto, è un poco la metafora della Camelot di Artù. Lei presidente, stando in tribuna ovviamente non può vedere negli occhi, quella parte di umanità juventina che fa da sostegno e da vettore alle imprese consumate in campo dai giocatori. Uomini, donne e tanti bambini autenticamente innamorati, felici e con il cuore in mano dipinto di bianconero. Quarantamila anime la stragrande maggioranza delle quali arriva a Torino da fuori porta sostenendo viaggi spesso lunghi e fatalmente dispendiosi per una famiglia italiana in tempo di ristrettezze. Non parlo ovviamente dei fortunati eccellenti i quali possono permettersi il lusso delle tribune e i viaggi a bordo di comodi e veloci suv. Anche loro certamente contribuiscono alla buona riuscita della causa. Ma dico, soprattutto, degli “altri” per i quali la Juve è tanto amore ma anche parecchio sacrificio. La letteratura sportiva, in tal senso, li definisce “Il dodicesimo uomo”. Immagine restrittiva per la Juventus. Loro rappresentano, semmai, l’esercito o la vecchia guardia napoleonica. Presidente Andrea Agnelli, rifletta per bene su questa”forza” imprescindibile. Giocatori, dirigenti e operatori assortiti riceveranno ora il giusto e concreto premio per la meravigliosa stagione. Io credo che il popolo dello Stadium meriti altrettanto. Chessò, una medaglia ad personam, un annullo postale storico, un bonus di qualunque natura……veda lei. Saprà certamente come e cosa fare.


@matattachia