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Dissoltosi il bersaglio principale, in arte Silvio Berlusconi inteso come premier, Marco Travaglio diversifica i suoi quotidiani “lanci di missili” in base all’umore con il quale si sveglia al mattino. Premetto che sto parlando di un collega che ho visto nascere e crescere strada facendo lungo un percorso quanto mai infido e sdrucciolevole come quello rappresentato dal giornalismo socio-politico la cui frequentazione impone notevole coraggio oltreché una vocazione non indifferente alla lotta continua. Sotto questo aspetto, l’attuale direttore de “Il Fatto Quotidiano” (praticamente la sua creatura) ha sempre dimostrato di possedere le caratteristiche necessarie per meritarsi la stima dovuta a chi si mette in gioco e agisce in prima persona per tentare di fare in modo che lo Stato del diritto e quello dell’etica possano procedere con orgoglio e a braccetto verso la medesima direzione per il bene della gente. Non vi è dubbio che Marco Travaglio, nella sua prima edizione di “soldato montanelliano”, abbia svolto il complicato compito di fustigatore e pera di denuncia nel migliore e più onesto dei modi. E fino a quel punto mi è piaciuto seguirlo e appoggiarlo, seppure da lontano, nelle sue battaglie.

Poi è accaduto ciò che spesso succede quando, anche soltanto a livello inconscio, l’eccessiva popolarità e una certa autostima “drogata” provocano nel protagonista una sorta di metamorfosi facendo ammalare lo “spirito” libero e libertario di gigantismo e talvolta persino di “cattiveria” gratuita. Da militante a Savonarola, dunque. Al di là degli equilibrismi politici e pentastellati sui quali Marco si esercita sempre più spesso nel salotto di Lilli Gruber, non trovo altra spiegazione plausibile agli interventi fuori luogo e fuori misura riservati da “Il fatto” alla Juventus se non quella di una malsana voglia di “vendetta personale continua” da parte del direttore del quotidiano nei confronti di un’amante che lo ha tradito. Nei giorni scorsi, sulla prima pagina de “Il Fatto” era stato dato ampio risalto ad una presunta “guerra” in atto tra Andrea Agnelli e il cugino John Elkann il cui finale, stando alle teorie visionarie e dietrologhe di un altro collega-amico come Gigi Moncalvo, sarebbe quello dell’annientamento dell’attuale presidente bianconero. Oggi la seconda puntata della “saga” su temi differenti, ma con l’identico denominatore comune ovvero la Juventus.

E’ assolutamente vero che la Procura ha aperto un’inchiesta sul brutto fatto dei biglietti per le partite allo “Stadium”, sulla loro gestione più o meno occulta, sulla presenza o meno della malavita organizzata e della ‘ndrangheta calabrese nella realtà della curva ultras, del ruolo di Giuseppe Marotta in questo cono d’ombra, del disagio e dell’imbarazzo vissuti dallo stesso Andrea Agnelli. Allora se esiste qualcosa di losco o di illecito da fare emergere alla luce del sole ben vengano anche i “detective” di Travaglio. Ma rendere speculare il “giallo” dei biglietti all’orrore etico sportivo di Calciopoli mi pare un’operazione non soltanto fuori misura ma anche poco onesta. Intanto perché, da che il calcio contemporaneo ha cancellato quello più innocente dei nostri padri, le società (tutte, nessuna esclusa) hanno sempre dovuto subire gli umori anche malsani delle curve e cedere ad una dipendenza quasi fisiologica. I pochi presidenti che tentarono di opporsi al “ricatto” fecero una brutta fine. Un esempio su tutti Sergio Rossi del Torino. Naturalmente ciò non toglie che sia vietato agire per tentare almeno di arginare il profitto delle mafie interessate al traffico sporco dietro la maschera del tifo. Ma è anche bene ricordare, e Travaglio lo sa perfettamente, che soltanto un lenzuolo non ha tasche e che un solo “uomo” si permise di andare vestito a quel modo duemila e diciassette fa. Eppoi, cosa fondamentale, anche i colleghi de “Il Fatto” dovrebbero prendere atto che fortunatamente oggi la “troika” non c’è più. Marotta, Nedved e Paratici non somigliano minimamente né fuori e né dentro a Giraudo, Moggi e Bettega. Posso capire il Travaglio tifoso innamorato e tradito. Io subii un processo e una condanna paradossale per aver “diffamato” i tre accusandoli di ciò che, in seguito, li portò a essere cacciati dal calcio. Ma evocare un passato orribile per gettare fango sulla nuova Juventus non mi pare proprio il massimo. E non è manco da Travaglio prima maniera.