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Nel bel mezzo di una serata drammatica, dal punto di vista prima umano e poi - in lontananza - sportivo, mentre a Napoli partono i festeggiamenti per un nuovo Capodanno di cui nessuno era a conoscenza, a dare una lezione a tutti gli avversari arriva come un fulmine Andrea Agnelli.

Il presidente, a pochi secondi dal fischio finale dell’arbitro Brych che sancisce la vittoria della dodicesima Champions del Real Madrid, scende dagli spalti del Millennium Stadium per abbracciare i suoi giocatori in campo. Nessuno è risparmiato dalle pacche e dall’affetto del numero uno juventino, che come un vecchio babbo va a consolare pure un Gonzalo Higuain apparso - per l’ennesima finale in carriera - assolutamente insufficiente. “Sono orgoglioso di quello che hanno fatto i ragazzi”, commenta poi Agnelli dopo il match, nonostante l’evidente delusione per un trofeo che poteva e doveva essere riportato a Torino. E se poi qualcuno cerca di strappargli un commento tecnico-tattico sulla sfida, la risposta è immediata: “Non è il momento di guardare ai 20 minuti”.

Mi sembra di ricordare, come un’eco lontana, gli sberleffi di Aurelio De Laurentiis all’indirizzo del “suo” Higuain, per quel “chilo e mezzo di troppo che è come un mattone”. Oppure l’immensa “umiltà” di un altro presidente (che - ammettiamolo pure - qualche Champions in più di noi sicuramente l’ha vinta), quel Silvio Berlusconi che in faccia ai propri allenatori dichiarò: “Ho insegnato al Milan come si gioca al calcio”. Godete adesso, avanti. Lanciate fuochi d’artificio e festeggiate il vostro Capodanno personale. Ma la verità è che voi, un Andrea Agnelli, non lo avrete mai.