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“Aho….Ma’sta neve nun poteva arivà na decina de ore prima, così cor Milan nun se gggiocava…”. Il tassinaro è sconfortato, quella di ieri sera è più d’una sconfitta. E’ il ritorno del destino avverso, la caduta, ennesima, dallo sconforto alla disperazione, che fa dire parole troppo grosse: “Ma sì, a sto punto tifo Juve. Armeno è na grande squadra. D’infami, ma de’ grandi’nfami, no come er Napoli, che tanto nun ce la fa. Na squadra de’ ballerini. Sempre a lamentasse…poi in Europa…che figura…”.

E’una gran mezza verità. Mezza, perché il tassinaro, sintonizzato su una radio privata giallorossa che impreca, azzanna, sprofonda non dice che quando la Roma “armeno era seconda” stava lì a lamentarsi, a ingigantire il particolare avverso, a urlare al complotto bianconero. 
Garcia non era certo meglio di Sarri, anzi. Si faceva scudo del preteso torto subito, degli arbitri a strisce bianconere. Suonava il violino in diretta per sfottere decisioni per lui discutibili. Insomma ne aveva sempre una.

Di Francesco no. Appartiene alla scuola di Spalletti. Non nella tortuosa dialettica, ma nella linearità onesta di riconoscere limiti ed errori. E questo non piace. Lontani dalla Juve, quindi dal “male assoluto”, i tifosi romanisti sono orfani dell’odio, cioè del sentimento, che, in assenza di risultati reali, li tiene sulla corda. E orfani d’una figura eroica come Totti. Impalato in tribuna il Pupone s’annoia, quasi fosse ai margini. Temuto, rispettato dalla Società, è ancora il desiderio segreto di quasi tutti. Come? Nelle vesti di allenatore. Eventualità rara come la neve a Roma, ma non impossibile. Solo che qui la neve piace soprattutto ai ragazzini. Per il resto produce guai. Le macchine si mettono di traverso e bloccano le strade, i rami degli alberi non potati vengon giù nei parchi e lungo le vie. Quindici centimetri bianchi han chiuso scuole e uffici comunali. I bar restano semivuoti. I cornetti non ci sono perché i panettieri non hanno effettuato le consegne. I treni bloccati accumulano ritardi di ore. Anche l’approccio all’ Aereoporto di Fiumicino risulta ostico. 

Ma oggi la neve, splendente sotto il sole, sembra aver coperto risentimenti e delusioni. I romani escono con i moonboots e la tuta da neve. I più giovani si trascinano dietro una slitta verso Villa Ada o Villa Borghese. Molti indossano sciarpe e cappelli giallorossi. Camminano sulle uova, guardinghi per paura di scivolare. La ferita cocente d’una sconfitta ancor fresca si anestetizza grazie alle scuole chiuse, al manto che ogni tre quattro anni cambia di colpo la città. E la fa sembrare diversa.